GLOSSARIO

GRAFENE – OSSIDO DI GRAFENE – COS’E’ ?

L’ossido di grafene è un materiale stratificato prodotto dall’ossi- dazione della grafite.
A differenza di quest’ultima, è fortemente ossigenato, reca gruppi funzionali ossidrilici ed epossidici sui piani basali, oltre a gruppi carbonilici e carbossilici.

Che cos’è il grafene è dove si trova?
Il grafene si ricava in laboratorio dalla grafite. I cristalli di grafite sono trattati con una soluzione fortemente acida a base di acido solforico e nitrico e poi ossidati ed esfoliati fino a ottenere cerchi di grafene con gruppi carbossilici ai bordi.

Cosa fa l’ossido di grafene nel corpo umano?
Spiega la Dott. ssa Delogu: “Abbiamo scoperto che un particolare tipo di grafene, un nanomateriale dalle straordinarie caratteristiche fisiche e chimiche, è in grado di eliminare in modo selettivo i monociti, le cellule del sangue.

Cosa dice il Professor Montanari.
Ecco chi avrebbe brevettato l’ossido di grafene con scopi precisi e ben determinati … se è vero siamo alla follia.

 


UN GIUDIZIO CONTRASTANE SUL PERCHÈ LA STORIA DEL GRAFENE NEI VACCINI È ASSURDA E DEMENZIALE

Nel 2018 Mattia Bramini e colleghi scrivono una review – la review è un articolo scientifico che cerca di fare il punto sui progressi e sfide ancora aperte in un determinato campo scientifico – dal titolo “Interfacing Graphene-Based Materials With Neural Cells”.
La review si concentra sui possibili utilizzi del grafene nel campo delle neuroscienze, citando gli studi condotti fino a quel momento dove si discutono le potenzialità e soprattutto la biocompatibilità del materiale.

Che cos’è il grafene.
Il grafene è un foglio di atomi di carbonio strettamente legati tra loro e disposti a formare una struttura esagonale a nido d’api (o favo per i più precisi).
Questa particolare disposizione degli atomi di carbonio (che sono tutti uguali tra loro) conferisce al materiale delle caratteristiche peculiari: il grafene è flessibile, leggero, trasparente e allo stesso tempo il materiale più resistente conosciuto.
In aggiunta, il grafene è un materiale altamente conduttivo e quindi di interesse per una serie di applicazioni: dai dispositivi elettronici flessibili alla medicina e, appunto, le neuroscienze.
Nel 2021 la review genera un’anomala attenzione sui social, ad accendere la miccia è un sito di disinformazione spagnolo che utilizza e linka lo studio per dimostrare un piano mondiale di controllo delle menti attraverso il grafene presente nei vaccini.
Come se non bastasse, a distanza di pochi giorni da queste farneticazioni, si aggiungono dichiarazioni presunte analisi di una fiala di vaccino da parte di alcuni ricercatori dell’Università di Almeria.
Le conclusioni costringono l’Università a rilasciare un comunicato ufficiale per prendere le distanze dai ricercatori.
Ciliegina sulla torta, gli stessi ricercatori a distanza di svariate settimane pubblicheranno una nota per prendere le distanze dalle conclusioni dei loro stessi studi (con tanto di lettera firmata che si può trovare e scaricare qui).
Per gli amanti del complotto questo è l’ennesimo esempio di ricercatori messi a tacere, ma la realtà delle cose dice altro: ricercatori mediocri che volontariamente o meno (non sta a noi decidere se ci sia intenzionalità) forniscono una base falsamente scientifica alle teorie più assurde.
Rimanendo nel campo dei ricercatori mediocri non potevano mancare in questa storia gli italianissimi Stefano Montanari e Antonietta Gatti, la nanocoppia che ci invidia tutto il mondo.
I due per l’occasione optano per una cosa a tre, pubblicando uno studio livello tesina delle medie a firma Young – Gatti – Montanari.
La conclusione è sempre la stessa: nei vaccini ci sarebbe ogni genere di porcheria e soprattutto l’ossido di grafene.
“Le tecniche che il trio ha utilizzato non sono sufficienti per l’identificazione di grafene o grafene ossido-ridotto.
Per identificare il grafene si utilizza la Raman Spectroscopy.
Non si utilizzano immagini comparative di microscopia ottica e/o elettronica, perché utilizzando questi metodi è praticamente impossibile distinguere il grafene dalla comune polvere.
Questi dicono di aver trovato il grafene perché i loro campioni assomigliano per analogia morfologica al grafene.”
Non finisce qui, per dimostrare al mondo che l’Italia è leader nelle pseudoscienze e che questa storia del grafene nei vaccini ci ha veramente intrigato arriva a settembre 2021 un’interrogazione parlamentare da parte della deputata Sara Cunial.
Il copione è lo stesso, nuovi studi (sbagliati in ogni singolo dettaglio) dicono che nei vaccini ci sono delle sostanze pericolose, tra cui il grafene.
“Il modo più semplice per capire che non sanno di cosa parlano e chiedere una foto dei campioni analizzati.
Alle concentrazioni che dicono di aver trovato la soluzione contenente grafene sarebbe scura.
Ma questo non lo puoi sapere se non hai mai lavorato con questo materiale.”
In conclusione non poteva mancare Loretta Bolgan.
Su Youtube è possibile trovare delle interessantissime conferenze nelle quali Loretta Bolgan afferma che indubbiamente sia presente il grafene nei vaccini.
Insomma, il grafene per i no-vax è il nuovo viagra e feti abortiti.

Cosa dice in breve la teoria no-vax sul grafene nei vaccini
Lo studio di Bramini e colleghi secondo diversi no-vax italiani (Loretta Bolgan, Stefano Montanari, Antonietta Gatti, Sara Cunial etc etc) sarebbe una delle prove provanti che il grafene presente nei vaccini (1) contro il coronavirus (SARS-CoV-2) possa raggiungere il cervello (2) e interferire con la funzionalità dell’organo (3).
Per alcuni, quelli con dottorato di ricerca conseguito su Telegram, il grafene non sarebbe nient’altro che “l’antenna” con la quale chi controlla il 5G potrà controllare anche le menti dei vaccinati (4)…
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BANCHE: LA SENTENZA CHE RESTITUISCE LE CASE ALL’ASTA A TUTTI I DEBITORI

(TRATTO DA QUI)

Pignoramenti immobiliari tutti bloccati: con la nuova pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione il giudice deve valutare se il decreto ingiuntivo è stato emesso sulla base di clausole abusive contrarie ai diritti del consumatore.

È una sentenza davvero epocale quella che le Sezioni Unite della Cassazione hanno appena pubblicato. Una sentenza che restituisce le case all’asta a tutti i debitori sottoposti al pignoramento immobiliare da parte di soggetti forti come le banche o le finanziarie.

Grazie alla possibilità di applicazione retroattiva del principio varato dalla Suprema Corte [1], oggi chi sta subendo l’esproprio di una casa o di qualsiasi altro bene può nuovamente opporsi alla procedura anche se, in precedenza, è rimasto inerte e ha fatto scadere tutti i termini.

Cerchiamo di comprendere, più nel concreto, cosa cambia da oggi in poi.

La Caporetto delle banche: il principio

Il principio era già stato affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in almeno due occasioni.

Secondo i giudici europei, lo Stato italiano deve garantire ai consumatori la possibilità di opporsi al decreto ingiuntivo delle banche anche se questo non è stato contestato a suo tempo e pertanto è divenuto definitivo.

Deve farlo, in particolare, tutte le volte in cui il credito che ha dato vita all’esecuzione forzata si basa su un contratto abusivo, contenente cioè clausole vessatorie.

Il cosiddetto “giudicato” – ossia il fatto che una sentenza o un decreto ingiuntivo sia divenuto definitivo e perciò non più impugnabile – non può essere un limite alla tutela dei cittadini.

Pertanto per il giudice dell’esecuzione – quello cioè dinanzi al quale si svolge la procedura di pignoramento immobiliare – deve poter rimettere in gioco tutto il processo e bloccare l’asta giudiziaria se, alla base di tutto ciò, c’è la violazione delle norme europee che tutelano il consumatore.

Quindi, in presenza di un contratto bancario (una fideiussione, un mutuo, un’apertura di credito o qualsiasi altro contratto) che contenga clausole vessatorie, il debitore può opporsi anche a pignoramento già in corso e rimettere tutto in discussione.

La straordinarietà di tale affermazione si comprende solo se si conosce la regola generale del nostro processo anche nota con il termine tecnico: “giudicato”.

In forza di tale principio, il debitore che non abbia presentato opposizione contro un decreto ingiuntivo o non abbia fatto appello contro una sentenza a lui sfavorevole, non può più presentare un’opposizione quando ormai è partito il pignoramento, anche se solo in quella sede dovesse accorgersi dell’illegittimità del contratto firmato con la banca.

Così, molti cittadini si trovano oggi ad avere le case all’asta solo perché, al momento della notifica degli atti giudiziari non hanno inteso difendersi (a volte per ignoranza, a volte per incompetenza, altre per eccessiva leggerezza).

Condizioni per poter bloccare il pignoramento della casa

Il principio affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione può applicarsi solo in presenza delle seguenti condizioni:

il debitore deve essere un consumatore: sicché il contratto con la banca non deve essere stato sottoscritto per ragioni lavorative, imprenditoriali o professionali;

il contratto sottoscritto dal debitore con la banca deve contenere almeno una clausola vessatoria;

l’asta giudiziaria non deve essersi già conclusa con il provvedimento di assegnazione dell’immobile al miglior offerente.

Un esempio servirà a comprendere meglio la situazione.
Immaginiamo il caso di Tizio che abbia sottoscritto un contratto di mutuo ipotecario con una banca per l’acquisto della sua prima casa in cui andrà ad abitare insieme alla sua famiglia.

Nel contratto è presente una clausola abusiva che deroga al principio generale che impone quale foro competente per eventuali cause quello del luogo di residenza del debitore: in forza di tale clausola, si stabilisce che ogni controversia dovrà essere instaurata dinanzi a un tribunale lontano dall’abitazione di Tizio.

Proprio per questa ragione, nel momento in cui riceve il decreto ingiuntivo della banca, Tizio decide di non opporsi non avendo come pagare un avvocato di un altro foro.

Il decreto ingiuntivo diventa definitivo e la banca notifica a Tizio il pignoramento immobiliare.

La casa viene messa all’asta. Senonché Tizio riceve un consiglio da un amico avvocato il quale gli fa notare che il contratto con la banca viola la disciplina dei consumatori proprio per via di tale clausola abusiva, ma che ormai è troppo tardi per opporsi.

Ebbene, grazie al nuovo principio fissato dalla Cassazione, ora anche Tizio può presentare opposizione nonostante abbia fatto scadere i termini.

Infatti, benché il debitore non abbia proposto opposizione contro il decreto, adesso spetta al giudice dell’esecuzione controllare se la clausola del contratto è vessatoria.

E avvisare il debitore medesimo che entro quaranta giorni può proporre l’opposizione per far accertare la natura abusiva della clausola che ha effetti sull’ingiunzione di pagamento.

Inizierà un nuovo processo volto a giudicare dell’eventuale legittimità del contratto, durante il quale il giudice può sospendere l’esecutorietà del decreto ingiuntivo (e quindi del pignoramento).

All’esito del giudizio, non appena il giudice avrà accertato la presenza della clausola abusiva, il pignoramento cesserà definitivamente e quindi la casa tornerà al debitore.

I precedenti

Come anticipato, la pronuncia delle Sezioni Unite si basa sul principio fissato dalla Grande sezione della Corte di giustizia europea nelle cause C-693/19 e C-831/19, che aveva bocciato la normativa italiana laddove precludeva al giudice dell’esecuzione di pronunciarsi sulla validità delle clausole contrattuali, in quanto ormai coperta dall’autorità di cosa giudicata del decreto ingiuntivo non opposto.

Il tutto perché, spiegano i giudici Ue, al consumatore va garantita una «tutela effettiva».

In base alla giurisprudenza eurounitaria il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio la presenza di clausole abusive nel contratto, a patto che gli elementi di diritto e di fatto già in suo possesso suscitino seri dubbi in materia.

Invece costringere il debitore a proporre l’opposizione solo entro i canonici 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo per far valere i propri diritti si pone in contrasto con la tutela del consumatore e con il principio del rilievo d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali.

Insomma: per effettuare il controllo d’ufficio il giudice del monitorio deve esercitare i poteri istruttori consentiti dall’articolo 640, primo comma, cod. proc. civ.

Cosa cambia da oggi in poi?

Da oggi in poi, già in fase di richiesta del decreto ingiuntivo, il giudice dovrà richiedere alle banche di produrre il contratto su cui si basa il credito.

Eventualmente, deve rigettare la richiesta di decreto ingiuntivo se l’istruttoria sulla natura vessatoria della clausola risulta troppo complessa perché richiede di assumere testimonianze o svolgere una consulenza tecnica d’ufficio.

A quel punto il creditore dovrà avviare un processo ordinario di accertamento del proprio credito.

L’emissione invece del decreto ingiuntivo deve essere motivata: l’obbligo è funzionale a informare il consumatore che il giudice del monitorio ha svolto il controllo d’ufficio sulla presenza di clausole abusive nel contratto sotteso al credito azionato.

Che succede invece se tutto ciò non si verifica? Al debitore deve essere consentito di presentare opposizione tardiva contro il decreto ingiuntivo anche a pignoramento già avviato.

Come detto, tale regola si applica anche alle procedure già in corso, consentendo a chi sta subendo un pignoramento e ha la casa all’asta di bloccare tutta la procedura e di presentare un’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo.

Il tutto a condizione che il bene pignorato non sia stato già assegnato. In tal caso il consumatore può soltanto attivare un altro giudizio per chiedere il risarcimento del danno.

Se allora l’ingiunzione non motiva sul punto, il giudice dell’esecuzione ha il potere/dovere di rilevare d’ufficio l’esistenza di una clausola abusiva che incide sull’esistenza o sull’entità del credito oggetto del provvedimento monitorio.
2023.05.16 – FURLANETTO 4X4 COMPANY AEI – FATTURA VENDITA NR. 0130718190158391

 

E ciò fino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito.

Esempi di clausole abusive

Se si tratta, ad esempio, di una clausola che deroga al foro del consumatore la sospensione è totale; se, invece, si discute soltanto di una clausola che determina interessi moratori eccessivi, la sospensione ben può essere parziale, mantenendo intatta l’esecutorietà del titolo per la quota capitale, rispetto alla quale prosegue l’esecuzione forzata già intrapresa dal creditore professionista.

Il giudizio di opposizione, quindi, procede regolarmente.

Altre clausole abusive sono quelle, ad esempio, che vincolano il diritto del consumatore di chiedere il trasferimento del mutuo presso altro istituto di credito, che lo subordinano al pagamento di penali, che prevedono l’anatocismo, che limitano altri diritti del consumatore.

Cosa deve fare chi ha casa all’asta?

Chi ha un pignoramento in corso dovrà quindi rivolgersi immediatamente alla consulenza di un avvocato esperto in diritto del consumo o in diritto bancario al fine di far valutare l’eventuale presenza di clausole abusive all’interno del contratto e chiedere quindi che venga presentata opposizione all’esecuzione.

Opposizione per la quale, come detto, non ci sono termini di scadenza se non l’assegnazione dell’immobile pignorato all’offerente.

(TRATTO DA QUI)

 

SOVRANITA’ …

Ecco come in Treccani viene definita la Sovranità:
Potere originario e indipendente da ogni altro potere.


In relazione allo Stato contemporaneo, il termine s. viene ad assumere un duplice significato.
Da un lato, se riferito all’ordinamento giuridico statale nel suo complesso, sta a indicare l’originarietà dell’ordinamento medesimo, nel senso che esso non deriva la sua validità da alcun altro ordinamento superiore.
Dall’altro lato, quando lo Stato viene preso in considerazione sotto il suo aspetto di persona giuridica (Stato-persona), il termine s. sta a indicare la posizione di indipendenza nei riguardi di ogni altra persona giuridica esistente al suo esterno (cosiddetta s. esterna); e, per altro verso, l’assoluta supremazia di fronte a tutte le altre persone, fisiche e giuridiche, che si muovono nel suo ambito territoriale (cosiddetta s. interna) e, di conseguenza, la stessa potestà di governo assoluta della persona giuridica statale.
Inoltre, il termine s. viene in rilievo nell’espressione s. territoriale, con la quale si intende indicare la competenza esclusiva dello Stato in rapporto al proprio territorio e alle risorse naturali ivi contenute (cosiddetto principio della s. permanente dello Stato sulle proprie risorse naturali, uno dei cardini del nuovo ordine economico internazionale propugnato dai paesi in via di sviluppo a partire dagli anni 1970), nonché il potere di imperio dello Stato su tutte le persone fisiche e giuridiche che si trovino in tale ambito territoriale; si parla invece di s. personale per indicare il potere di imperio dello Stato sugli individui che gli appartengono per cittadinanza ovunque essi siano, anche all’estero o su spazi sottratti alla giurisdizione statale (un esempio di s. personale è quella esercitata dallo Stato sull’equipaggio di una nave in alto mare).

La s. dello Stato, entrando in contatto con ordinamenti più vasti (quale in primo luogo quello internazionale), incontra dei limiti al proprio esclusivo esercizio (si pensi, per es., alle norme consuetudinarie relative al trattamento degli stranieri e degli agenti diplomatici stranieri, o ai principi in materia di divieto di inquinamento transfrontaliero).
Lo Stato può inoltre acconsentire a delle limitazioni della propria s. per effetto dell’adesione a organizzazioni internazionali dotate di poteri e funzioni tali da configurare una interferenza esterna, talora assai penetrante, nella potestà dello Stato stesso.
A questo riguardo, occorre sottolineare che, nella Costituzione italiana, tale ipotesi è espressamente contemplata nella norma dell’art. 11: «L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di s. necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».

Nella Costituzione italiana la s. popolare è “accolta” e proclamata nell’art. 1, nel quale si afferma che la s. appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, cioè con un sistema di democrazia indiretta.

(TRATTO DA QUI)

Nell’ambito del costituzionalismo moderno, la teoria della sovranità popolare è strettamente collegata al suffragio universale e alla sua progressiva affermazione (DemocraziaDiritto di voto). Questo forte collegamento emerge, in particolare, nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese del 1793, in cui viene affermato che la sovranità risiede nel popolo (art. 25) e che il popolo sovrano è costituito dall’universalità dei cittadini (art. 7 Cost. Francia 1793). Non è un caso, invece, che la Costituzione francese del 1791, che prevedeva un suffragio di tipo censitario (esplicitato nella distinzione tra cittadini c.d. attivi e cittadini c.d. passivi; Cittadinanza. Diritto costituzionale) parlasse piuttosto, secondo l’impostazione di J.-E. Sieyès di sovranità della nazione, anziché di sovranità popolare.

(TRATTO DA QUI)

 

LEGITTIMA DIFESA – ANCHE IN AMBITO INTERNAZIONALE

Nel diritto internazionale, la legittima difesa – quale diritto di uno Stato di opporre una reazione armata, anche con l’assistenza di Stati terzi, a difesa della propria integrità territoriale e indipendenza politica – è contemplata da una norma consuetudinaria che trova conferma nell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.
La legittima difesa si configura, infatti, come un’eccezione al divieto dell’uso della forza previsto nell’art. 2, par. 4, della Carta (Uso della forza. Diritto internazionale).
(tratto da qui)


da un RDN presentato dal Presidente del MLNV e del GVP Sergio Bortotto contro le insistenti e illegali le pretese dell’italia contro di lui:
(VEDI IL RDN)

Mi chiedo …
e se dovesse giungere il momento che per non soccombere si è costretti a vincere la prepotenza altrui con la forza?
L’oppresso si fa forse carnefice?
E il tiranno è forse “vittima” della sua stessa prepotenza?
La storia dell’umanità è intrisa di violenza e di guerre ma quasi sempre scatenate dal più forte, da colui che crede di non patire le conseguenze delle sue stesse azioni.
E’ necessario riequilibrare le posizioni, affinché l’uno non sottometta l’altro, affinché il mite non abbia a conoscere il peso della mano che sopprime e il violento e il prepotente conosca i limiti e le conseguenze delle sue azioni.
Dio ci scampi da tale passo, ma il momento è vicino, molto vicino.
Ma al punto in cui si è arrivati è meglio essere chiari.
Si può invocare la legittima difesa contro lo stato straniero italiano?
Si dice che la “legittima difesa” nell’ordinamento giuridico italiano, è una causa di giustificazione.
Ma quando realmente si configura una situazione di pericolo … quando si respinge una violenza attuale o quando vi sia il concreto pericolo di subire una prevedibile imminente violenza?
La legittima difesa comporta per forza un’aggressione e una reazione ad essa.
Ma è forse necessario che la vittima debba lasciar fare all’aggressore ciò che vuole per giustificare la sua reazione?
Non è forse suo diritto prevenire un prevedibile male ingiusto?
La vittima non tutela forse un suo diritto inalienabile?
E veniamo al dunque.
Esiste forse una causa giustificativa a favore dell’aggressore per cui la sua minaccia possa non essere considerata ingiusta e illegale?
Ovvero, vi sono minacce e aggressioni ai diritti della persona umana che possono essere non considerate tali, per legge?
Ci sono aggressioni che possono essere giustificate dalla legge?
Ovvero, vi possono essere istituzioni dello stato e circostanze per le quali siano esse legittimate a violare i diritti umani delle persone?
Se si, quali inimmaginabili interessi dovrebbero tutelare per sopraffare i diritti umani delle persone?
Il Cittadino Veneto che critica, anche aspramente, la provocazione dell’occupazione della propria Patria lui si trova sul posto legittimamente perché è a casa sua, ed esprime a diritto il proprio disappunto sulla presenza dello stato occupante che non ha invece diritto di trovarsi in quel luogo.
E’ chiaro che la presenza di ogni istituzione italiana è una sfida e una minaccia ai valori e sentimenti per la propria Patria … è una vera e propria aggressione ai sentimenti di amor patrio per i Veneti.
Ed è così poi che un atto dimostrativo da parte di Patrioti Veneti diviene illegale per lo stato italiano, trovando unanimi e concordi, accusa e giudizio in un tribunale dello stato occupante.
In poche parole l’italia è l’aggressore che diviene vittima e subisce la reazione del cittadino veneto che critica, anche aspramente e non tace l’oltraggio e la violenza che ogni giorno viene fatto alla propria Patria.
E dove sarebbe l’imparzialità di un giusto processo quando accusa e giudizio sono esercitate in difetto assoluto di giurisdizione da due autorità italiane, in un tribunale italiano, contro Veneti che tali si professano e che difendono l’aggressione al proprio sentimento nazionale e difendono la propria Patria?
Dov’è la garanzia della terzietà del giudice italiano?
Se è punibile la reazione (a parole) non è forse punibile anche l’aggressione e la provocazione che l’italia perpetua ogni giorno?
Non è forse legittima la difesa della propria Patria onorata da un Cittadino Veneto che ritiene offensiva l’ostentazione anche di un tribunale dello stato occupante italiano?
Lo stato straniero italiano che ci occupa ed è qui presente illegalmente “ab origine”, con la frode non può pretendere di fare giustizia.
Diciamo la verità una volta tanto.
Lo stato italiano non tollera che si metta in discussione tale verità nascosta, che si mettano in discussione le sue istituzioni … ma sono sue, appunto, non nostre.
Deve imporre la sua presenza e non tollera che la si critichi.
E tanto per essere chiaro ancora una volta con lo stato italiano ricordo che così mi pronuncio in virtù della libertà di manifestazione del pensiero, derivante dalla mia libera coscienza perché è un diritto riconosciuto negli ordinamenti democratici … quindi mal si giudica tutta questa oppressione.
La libertà di espressione è sancita anche dall’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ratificata dall’Italia con l. 4 agosto 1955, n. 848 che recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione.”
Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
Vi ricordo che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è un documento sui diritti individuali, firmato a Parigi il 10 dicembre 1948, la cui redazione fu promossa dalle Nazioni Unite perché avesse applicazione in tutti gli stati membri.
Nel preambolo si recita: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo;
Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo;
Considerato che è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione;
Considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo di rapporti amichevoli tra le Nazioni;
Considerato che i popoli delle Nazioni Unite hanno riaffermato nello Statuto la loro fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna, ed hanno deciso di promuovere il progresso sociale e un miglior tenore di vita in una maggiore libertà;
Considerato che gli Stati membri si sono impegnati a perseguire, in cooperazione con le Nazioni Unite, il rispetto e l’osservanza universale dei diritti umani e delle libertà fondamentali;
Considerato che una concezione comune di questi diritti e di questa libertà è della massima importanza per la piena realizzazione di questi impegni;
L’ASSEMBLEA GENERALE ha proclamato la presente dichiarazione universale dei diritti umani come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione.”
Ricordiamo all’italia in particolar modo l’art.19 che recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”
Ed ecco così avuta anche la risposta al dilemma morale che mi affliggeva “vincere o soccombere?”.
Proprio la Carta dei diritti umani recita: è indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l’uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l’oppressione.
Dunque è moralmente lecito ribellarsi alla tirannide e all’oppressione italiana, ancor più se non sono rispettati i diritti umani.
Mediterò su questo ve lo assicuro.
Siete dunque resi edotti anche in virtù di quanto stabilito dalle norme dell’U.C.C. .
Non c’è onore in quello che fate.

 

AUTOTULEA INTERNAZIONALE

Reazione ad un fatto illecito internazionale direttamente da parte del soggetto che ha subito l’aggressione della propria sfera giuridica (autotutela individuale) o di Stati diversi da quello direttamente leso (autotutela collettiva). Consiste, quindi, nel farsi giustizia da se´ in ragione della anorganicità della Comunità internazionale che non presenta un sistema accentrato di garanzia dell’attuazione coattiva delle norme.
L’ordinamento internazionale, pertanto, non facendo funzionare la norma posta a tutela della sfera giuridica di colui che ha compiuto la 
violazione, ne consente l’invasione mediante il compimento di atti e/o comportamenti che di per se´ sarebbero illeciti ma che divengono giuridicamente leciti in ragione della preesistente violazione.
L’autotutela si presenta, quindi, come una causa di 
esclusione della illiceità .
Rientrano nell’istituto dell’autotutela individuale, la 
legittima difesa, la rappresaglia (oggi più frequentemente denominata contromisura) e la ritorsione; nell’autotutela c.d. collettiva, l’intervento.
Per essere lecita l’autotutela non può consistere comunque nella 
minaccia o nell’uso della forza in ragione del divieto sancito dalla norma consuetudinaria cogente e codificato nell’art. 2, comma 4o Carta Onu, con l’unica eccezione ex art. 51.

Autotutela internazionale nell’ordinamento internazionale generale:
non sembrerebbero esistere, secondo una parte della dottrina, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 51 della Carta Onu, cioè a dire dell’autotutela collettiva in risposta ad un attacco armato ammessa anche dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza del 27 giugno 1986, Stati Uniti c. Nicaragua quale norma consuetudinaria, dei principi generali che consentano ad uno Stato di intervenire a tutela di un interesse fondamentale della Comunità internazionale o di un interesse collettivo, senza che l’interveniente abbia subito direttamente il danno.
In senso contrario, si esprime però l’art. 5, comma 3o, del testo provvisorio di articoli della Commissione del diritto internazionale sulla responsabilità degli Stati che, in tema di conseguenze dell’illecito, allorquando si tratti di crimini internazionali, cioè di violazioni di interessi fondamentali della Comunità internazionale in quanto tale, stabilisce che qualsiasi Stato possa reagire per ripristinare l’ordine giuridico violato.
Viene comunque ammessa, anche se non unanimemente, la esistenza di singole norme consuetudinarie (ad esempio in caso di violazioni gravi dei diritti umani; dell’autodeterminazione dei popoli) e di norme pattizie che consentono tale possibilità .
Per le norme pattizie si fa, ad esempio riferimento all’art. 88 Ceca che riconosce, in caso di inadempimento di uno Stato membro, la possibilità di reazione da parte di tutti gli altri Stati membri, che possono così legittimamente venire meno all’adempimento degli obblighi fondamentali di cui all’art. 4 Trattato Ceca; nonche´ alle numerose convenzioni internazionali in materia di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che contengono anch’esse norme a carattere erga omnes.

Autotutela internazionale nel quadro del sistema delle N.U.: l’art. 51 della Carta Onu prevede che nessuna disposizione della Carta e, quindi, neanche l’art. 2(4) che fa divieto di usare la forza, può pregiudicare il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva in presenza di un attacco armato contro un membro delle N.U., fintantoche´ il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie a mantenere la pace e la sicurezza internazionali.
Lo scopo è quello di prevenire o eliminare una minaccia alla pace e contrastare aggressioni armate o altre violazioni alla pace.
La liceità dell’autotutela internazionale mediante l’uso della forza armata ex art. 51 Carta Onu riposa sui seguenti requisiti:
a) temporanea impossibilità del Consiglio di sicurezza di adottare le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionali;
b) esistenza di un attacco armato già sferrato contro un membro delle N.U.;
c) necessità dell’azione intrapresa;
d) proporzionalità dell’azione intrapresa;
e) obbligo di immediata informazione del Consiglio di sicurezza da parte degli Stati circa le misure intraprese. V. anche intervento.

STALKING GIUDIZIARIO

A cura dell’Avv. Maria Luisa Missiaggia e dell’Avv. Maria Giulia Fenoaltea

Quando si può parlare di stalking giudiziario?
Lo stalking giudiziario, è una forma di atti persecutori ex art. 612 bis c.p., le cui azioni moleste consistono in reiterate pretese risarcitorie in sede civile, amministrativa ed anche in denunce-querele del tutto infondate.
Tali azioni giudiziarie, infatti, sono volte unicamente a creare nella vittima uno stato di ansia e paura, e costringono la stessa a sostenere tutte le spese del giudizio per far valere le proprie ragioni.
A ben vedere, la Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3831/2017, ha implicitamente riconosciuto la configurabilità del reato di atti persecutori, perpetrati attraverso “un utilizzo degenerato dello strumento giudiziario a fini vessatori”.
Il delitto di atti persecutori “giudiziari”, viene integrato da una pluralità di condotte e pretese fatte valere in giudizio devono essere palesemente infondate e strumentali.

IL PUNTO DI VISTA CIVILISTICO: LA LITE TEMERARIA
Il reato di stalking giudiziario affermato negli ultimi tempi dalla dottrina e dalla giurisprudenza svolge in ambito penale la funzione deterrente della c.d. lite temeraria in ambito civile di cui all’art. 96 comma 3 c.p.c.
L’articolo in questione, non ha trovato larga applicazione e, solo recentemente i Tribunali sembrano recepire l’importanza di tale istituto. Difatti le pronunce della Corte di Cassazione, ormai affermano a chiare lette che “l’art. 96, comma 3, c.p.c., introduce nell’ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo, e preservare la funzionalità del sistema giustizia con la censura di iniziative giudiziarie avventate o meramente dilatorie, conseguentemente perseguendo indirettamente interessi pubblici quali il buon funzionamento e l’efficienza della giustizia, e, più in particolare, la ragionevole durata dei processi mediante lo scoraggiare cause pretestuose” (ex multis, Cass. SU, 4853/2021).

IL PUNTO DI VISTA PENALISTICO
Dal punto di vista penalistico, per integrare il reato di stalking giudiziario, le condotte devono ripetersi nel tempo e costringere la vittima a cambiare le proprie abitudini di vita.
Come sopra specificato, infatti, le denunce querele reiterate, devono essere volte unicamente a vessare il soggetto destinatario delle stesse.
Diversamente, l’infondatezza della singola accusa riguardante il fatto materiale potrebbe configurare anche il reato di calunnia ex art. 368 c.p.

COSA DICE LA CASSAZIONE?
È stato condannato per stalking giudiziario un avvocato di Monza che aveva intentato ben 39 ricorsi civili e penali del tutto infondati nei confronti di un suo cliente.
Nel caso in questione, la Cassazione penale con la recentissima sentenza n.11429/2020 ha, infatti, stabilito che è imputabile per il reato di stalking “giudiziario” l’avvocato che, usando in modo strumentale la sua qualifica, intenta un numero elevato di cause infondate.
Ad affermarlo è la Cassazione, confermando la decisione del Gip, secondo il quale l’indagato aveva messo in atto “una gran copia di azioni giudiziarie in maniera del tutto strumentale, al fine di aggredire e molestare”.
Ebbene, in seguito a tale condotta il legale è stato sospeso dalla professione per un intero anno.
In conclusione, lo stalking giudiziario, inizia ad essere rilevante per il nostro ordinamento, svolgendo cosi la duplice funzione di tutelare la vittima delle condotte criminose e di non sovraccaricare i tribunali con cause infondate.

TRATTO DA QUI

PACTA SUNT SERVANDA – RISPETTO DEI TRATTATI

Pacta sunt servanda esprime un principio fondamentale e universalmente riconosciuto del diritto internazionale generale, ovverosia il diritto che si applica a tutti gli Stati e sul quale si basano le relazioni internazionali tra gli Stati: i patti, i trattati, le intese o più in generale gli accordi degli Stati vanno rispettati.
L’art. 26 della Convenzione sul diritto dei trattati (Vienna, 23 maggio 1969) è rubricata pacta sunt servanda e afferma: «Ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere da esse eseguito in buona fede».
L’art. 10 comma 1 della Costituzione italiana stabilisce che “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute.”
Tale norma si riferisce appunto alle consuetudini internazionali (assieme ad altre controverse fonti generali internazionali) sancendo l’obbligatorietà all’interno dell’ordinamento giuridico italiano di queste ultime.
Poiché “pacta sunt servanda” è appunto una consuetudine internazionale e come tale vincolante tutti gli stati (per l’Italia in virtù dell’art. 10), autorevole dottrina (Rolando Quadri) è giunta a sostenere che anche ai patti debba conformarsi l’ordinamento giuridico italiano in ossequio al principio previsto dall’art. 10.
Se un patto non venisse rispettato dall’Italia, si violerebbe non già lo stesso patto ma al contempo una norma di rango costituzionale.
Tuttavia a parte il riconoscimento di una impeccabile argomentazione logica, non si può, secondo altra parte della dottrina (Conforti), accettare una simile teoria in quanto la volontà del costituente nel redigere l’art. 10 è messa in luce dai lavori preparatori; né potrebbe ipotizzarsi l’assurgere di un trattato internazionale a rango di norma costituzionale.
Visto il proliferare degli accordi nei più disparati settori, si rischierebbe, accettando la visione del Quadri, di aggirare importanti garanzie costituzionali mediante la stipula di trattati.
Discorso diverso può farsi per altri ordinamenti, quali ad esempio gli Stati Uniti d’America o la Francia nelle cui rispettive costituzioni è espressamente previsto l’adattamento ai trattati.

ART. 51 – CARTA DELLE NAZIONI UNITE

Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.

Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.


Legittima difesa. Diritto internazionale
Nel diritto internazionale, la legittima difesa – quale diritto di uno Stato di opporre una reazione armata, anche con l’assistenza di Stati terzi, a difesa della propria integrità territoriale e indipendenza politica – è contemplata da una norma consuetudinaria che trova conferma nell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. La legittima difesa si configura, infatti, come un’eccezione al divieto dell’uso della forza previsto nell’art. 2, par. 4, della Carta (Uso della forza. Diritto internazionale).
L’art. 51 citato ribadisce il «diritto naturale» alla legittima difesa individuale o collettiva, nel caso in cui si verifichi un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionali. Le misure adottate dagli Stati membri nell’esercizio della legittima difesa devono essere immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di sicurezza e possono essere mantenute soltanto finché il Consiglio non prenda le decisioni necessarie per ristabilire la pace.


Condizioni per l’esercizio della legittima difesa.
La legittima difesa può esercitarsi solo in caso di attacco armato in atto, sferrato da forze regolari attraverso una frontiera internazionale o attraverso l’invio di bande armate sul territorio di un altro Stato, quando tale operazione, per la sua ampiezza, configuri un’aggressione armata (Aggressione. Diritto internazionale).
L’azione militare deve inoltre rispettare i parametri della necessità e della proporzionalità.
L’art. 51 della Carta dell’ONU e la corrispondente norma di diritto consuetudinario vietano pertanto un’occupazione militare prolungata e l’annessione del territorio dello Stato autore dell’attacco.


La legittima difesa ‘preventiva’.
La nozione di legittima difesa è stata a volte interpretata in modo estensivo, facendovi rientrare anche azioni armate dirette a respingere un attacco militare certo e imminente, ma non ancora sferrato (cosiddetta legittima difesa preventiva).
Secondo gli Stati che l’hanno proposta (Stati Uniti e Israele, in diverse occasioni), tale accezione estesa è ammessa nel diritto internazionale generale, come ritiene anche una parte della dottrina.
Sono invece da considerarsi privi di fondamento nel diritto internazionale ulteriori ampliamenti della nozione, collegati alla lotta contro il terrorismo e finalizzati a legittimare azioni armate condotte contro entità non statali (come Al Qaida o altre organizzazioni terroristiche) anche in territorio estero e senza il previo consenso del sovrano territoriale (cosiddetta ‘azione preventiva’).


Voci correlate
Autotutela. Diritto internazionale
Uso della forza. Diritto internazionale

ART. 2 PARAGRAFO 4 DELLA CARTA DELLE NAZIONI UNITE

Nel settore dell’uso della forza, l’affermazione del principio di autodeterminazione ha avuto una duplice conseguenza.
Da un lato,  esso ha ampliato la portata de divieto di cui all’art.2 pag. 4, della Carta delle Nazioni Unite, proibendo agli Stati di ricorerre alla minaccia, o all’uso della forza contro il Popoli che invocano il diritto di autodeterminazione.
Dall’altra parte, i Movimenti di Liberazione in lotta per l’autodeterminazione hanno il diritto di ricorrere alla forza per reagire contro lo Stato che impedisce con la forza l’esercizio del diritto di autodeterminazione.

commenti:
Anche allo stato italiano è fatto divieto, quindi proibito, di ricorrere all’uso della forza contro i Popoli che invocano il diritto di autodeterminazione.
L’art.2 pag. 4 della Carta delle Nazioni Unite precisa altresì che gli stati, quindi compreso quello italiano, non può ricorrere neppure alla minaccia, ovvero all’intimidazione contro i Popoli che invocano il diritto di autodeterminazione.
Per intimidazione e minaccia deve intendersi anche la provocazione, quale sfida o istigazione da parte dello stato occupante nei confronti dei Popoli che invocano il diritto di autodeterminazione.
Lo stato italiano sfida ogni giorno il Popolo Veneto e calpesta deliberatamente i suoi diritti previsti per legge.
La sua è una sfida intenzionale.
L’intimidazione è destinata a trascinarci tutti in un forzato confronto con le sue istituzioni che agiscono illegalmente sui nostri territori.
Come quasi tutti i tiranni, anche lo stato italiano, ha necessità di “giustificare” il proprio operato ma, essendo una “falsa democrazia”, lo deve fare con il pretesto dell’ordine pubblico o magari anche del terrorismo.
Il Popolo Veneto va quindi piegato dalla paura, dal timore di una aggressiva, folle e illegittima reazione da parte dello stato occupante.
Per lo stato italiano il Popolo Veneto non esiste (come se bastasse una sentenza della loro corte costituzionale a cancellare ciò che siamo).
Questa è una incontrovertibile offesa ed è nostro diritto che lo stato italiano si scusi con il Popolo Veneto per tanta arrogante e oltraggiosa insolenza.
Ma perché tanta imprudenza?
Ci hanno abituati che ad ogni azione corrisponde una reazione.
Ciò nonostante, per ogni dispotismo il presupposto di ogni repressione è fondato sul principio che non può esserci confronto se non ci sono gli “sfidanti”.
Il sistema è sempre lo stesso.
Lo stato dominante ha bisogno di trascinare il “confronto” (che tale non è) sul piano della forza perché è quello a cui sono abituati, dove si sentono più forti e possono pretestuosamente “sopprimere” gli avversari e calpestare i loro ideali.
Ma se i nemici non ci sono come potrebbe giustificare tanta veemenza?
Ricordate il caso “Polisia Veneta”???
Ecco un tangibile esempio di tale strategia.
Pur sapendo di mentire, polizia e magistratura, con la complicità di taluni italianissimi mezzi di informazione mediatica, hanno presentato questo Movimento di Liberazione Nazionale come un accozzaglia di sprovveduti, di malviventi, armati e pronti alla guerra.
Una indegna, impunita e ipocrita commedia.
Ma si sa che lo stato italiano è fondato sulla frode fin dal suo inizio ed è abituato a sopprimere con violenza chi vi si oppone … è una ineluttabile dinamica perché nell’esercizio di una forza sono sempre coinvolti due rivali.
E’ in questa dualità che si confrontano il bene e il male, il giusto e il malavitoso, la democrazia e la tirannia.
Questo è il percorso del MLNV, che scioglie i nodi con il sistema e non accetta compromessi o “allettanti scorciatoie”.
Non sono solo i soldi a nuocere, ma anche l’ambizione del potere.
Il ripristino di una Nazione è spesso giocata sul tavolo di avvoltoi e imbonitori, con interessi inimmaginabili.
Un Popolo, rimane spesso il protagonista assente del proprio destino.
WSM
Venetia, giovedì 1 novembre 2018
Sergio Bortotto
Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio.

L’uso della forza nel panorama del diritto internazionale è, molto probabilmente, uno degli argomenti più interessanti, controversi e criticabili su cui soffermarsi. Nel Preambolo della Carta dell’Onu si legge “noi popoli delle Nazioni Unite (siamo) decisi a salvare le generazioni future da ulteriori guerre“; nel mondo, però, dal 1945, anno di ratifica della Carta, ci sono stati più di 100 conflitti armati, con più di 20 milioni di vittime. Se da una parte la Carta, dunque, vieta la minaccia e l’uso della forza (art.2 par.4), dall’altra ci sono delle eccezioni in cui si può ricorrere ad essa: la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato e il sistema di sicurezza collettiva ad opera del Consiglio di Sicurezza, a riguardo il capitolo VII della stessa.

È interessante, dunque, l’analisi di questo meccanismo e i chiari riferimenti presenti nello Statuto dell’Organizzazione.

All’art.2(4) si legge “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.

Non rispettare questo articolo comporterebbe una violazione del diritto internazionale, quanto più grave se si pensa che disattendere il divieto dell’uso della forza può essere annoverato anche come una violazione stessa di diritto consuetudinario, come ha riconosciuto la Corte Internazionale di Giustizia nella celebre sentenza del 1986 relativa ad uno dei casi più importanti del diritto internazionale dal dopoguerra, ossia Nicaragua vs Stati Uniti.

Dal canto suo la Commissione del Diritto Internazionale ha espresso la sua visione a riguardo, affermando che le disposizioni della Carta riguardanti il divieto dell’uso della forza costituiscono un esempio cospicuo di una regola di diritto internazionale avente il carattere di jus cogens. Questa analisi aggraverebbe ulteriormente un comportamento di tal genere.

Che cosa si intende, però, per uso della forza? Leggendo la Carta si può notare che la parola “guerra” non è mai menzionata, ma è usato il sostantivo “forza”, insieme all’espressione “misure coercitive”; tradizionalmente, la guerra è la forma più grave di “forza” ma non l’unica. Per prima cosa, con l’espressione “forza” si fa riferimento alla “forza armata” ma ciò non esclude che anche altri tipi di forze come quella economica e politica non rientrino in questa categoria.

L’organo che ha la responsabilità primaria di mantenere la pace e la sicurezza internazionale è il Consiglio di Sicurezza, come sancito dall’art. 24 della Carta. Nel capitolo VII dello Statuto, all’art. 39 si legge: “Il Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazione o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.

Dunque qualsiasi decisione riguardante la minaccia o la violazione della pace deve passare sotto l’analisi del Consiglio di Sicurezza.

I casi eccezionali: Autodifesa

Come già accennato precedentemente, la Carta sancisce due situazioni nelle quali il divieto non si applica. Da una parte, le misure coercitive possono essere prese o autorizzate dal Consiglio di Sicurezza, secondo quanto stabilito dal Capitolo VII; dall’altra, la forza può essere utilizzata qualora venga esercitato il diritto di autodifesa collettiva od individuale, come riconosciuto dall’art.51.

Il principio di autodifesa è da annoverare tra i “diritti innati” di tutti gli statima se da una parte il diritto di proteggere sé stessi da un attacco esterno è indiscutibile ed è alla base dell’istinto umano di sopravvivenza, dall’altra la sua definizione giuridica e ambito di applicazione è stato oggetto di diverse discussioni e controversie. Secondo quanto stabilito dall’art. 51 si comprendono tre caratteristiche e comportamenti che devono essere seguiti. Per prima cosa, esso si applica solo “contro un attacco armato”; in secondo luogo, gli Stati hanno il dovere di riportare al Consiglio di Sicurezza l’esercizio del diritto di autodifesa. In ultimo, questo diritto deve essere sospeso non appena il Consiglio di Sicurezza prenda le misure, ritenute necessarie, atte a mantenere e restaurare la pace e la sicurezza internazionale. A riguardo, bisogna menzionare i tre elementi alla base della possibilità di uso della forza nel caso di autodifesa, che non sono espliciti nella Carta ma fanno parte del diritto internazionale consuetudinario: necessità, proporzione e immediatezza. Per quanto riguarda il primo elemento, nonostante non sia esplicitamente scritto, può essere dedotto dall’articolo stesso, nel quale viene stabilito che lo stato può intervenire fin quando il Consiglio non abbia adottato le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Dunque, gli Stati possono ricorrere alla forza perché è l’unica opzione per riportare la pace. Relativamente alla seconda condizione, la proporzionalità, si intende che la difesa condotta dallo Stato non deve superare l’offesa sofferta. Venga preso come esempio di non proporzionalità l’attacco di Israele contro il Libano nel 2006, in risposta ad un’offensiva di Hezbollah. Molti stati hanno condannato Israele perché il suo attacco armato era esagerato rispetto a quello subito. Infine, con il concetto di immediatezza si intende che l’azione debba essere realizzata in tempi ragionevolmente veloci, nel senso che non deve essere temporalmente e finalisticamente distante dall’attacco subito, perché non si parlerebbe di autodifesa ma quasi, piuttosto, di un nuovo attacco armato.

Per quanto riguarda l’esercizio del diritto di autodifesa esistono due scuole di pensiero: da una parte troviamo un’interpretazione più ampia, supportata soprattutto da Stati Uniti, Israele e Gran Bretagna, dall’altra un’interpretazione più ristretta secondo cui un attacco può essere definito “armato” solo quando vi è un esercito regolare di uno Stato in territorio, terrestre, aereo o di mare, di un altro. Secondo questa interpretazione è necessario che l’attacco sia stato commesso prima di invocare il diritto dell’uso della forza in nome dell’autodifesa. L’interpretazione più estesa ha, invece, una tradizione più antica, legata al diritto internazionale consuetudinario in forza prima della ratifica della Carta ONU. I sostenitori di questa visione ritengono che l’autodifesa possa essere invocata sia in caso di autodifesa “preventiva” sia in caso di protezione di nazionali all’estero.

Un’altra importante questione che si presenta e a cui è interessante fare riferimento riguarda il dibattito relativo alla classificazione degli attacchi terroristici come conflitti armati o meno e alla possibilità in tal caso di invocare l’autodifesa. L’argomento è diventato, ovviamente, sempre più oggetto di discussione e di interesse all’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre. Con le risoluzioni 1368 e 1373, il Consiglio di Sicurezza ha stabilito che gli attacchi terroristici non sono da considerare “attacchi armati” ma piuttosto minaccia alla pace. Allo stesso tempo, concedendo il diritto innato di autodifesa in accordo con la Carta, sono stati riconosciuti indirettamente come attacchi armati, anche se questi dovrebbero essere caratterizzati da un significativo livello di coinvolgimento del governo e in casi di terrorismo spesso non vi è coinvolgimento di alcuno stato.

Capitolo VII della Carta

A questo punto l’attenzione va spostata sul secondo caso eccezionale: un ordine o, meglio dire, un’autorizzazione di uso della forza secondo l’art. 42, qualora una minaccia, una violazione alla pace o un atto di aggressione si siano verificate. La Carta prevedeva, inizialmente, un meccanismo di azioni per il mantenimento o il ristabilimento della pace portate avanti direttamente dal Consiglio di Sicurezza con forze militari messe a disposizione da parte degli Stati membri, sulla base di accordi che si sarebbero dovuti stipulare in base all’art. 43. Dal momento che questi accordi non sono stati stipulati, il meccanismo ha funzionato ricorrendo ad azioni degli Stati autorizzate dal Consiglio di Sicurezza o con azioni più limitate decise dal Consiglio e gestite dal Segretario Generale secondo le direttive del Consiglio stesso. In questo secondo caso si fa riferimento alle cosiddette operazioni di peace keeping, o di mantenimento della pace. Inizialmente caratterizzate da invio di osservatori e corpi militari, nel corso degli anni novanta, hanno incarnato le forme più importanti e criticabili.

All’indomani della fine della Guerra Fredda, periodo durante il quale il Consiglio di Sicurezza si trovava bloccato dal veto di uno o di più Membri Permanenti, dovuto all’opposizione tra USA e URSS, esso ha utilizzato questo suo potere in numerose occasioni, adottando risoluzioni di autorizzazione. Si possono citare la Somalia, Timor Est e l’Afghanistan.

Seppur più volte oltrepassato, nei limiti sanciti dalla Carta, o anche superando ciò che la Carta permetteva, il divieto di uso della forza non si è mai dissolto e anzi è considerato uno dei principi alla base della cooperazione tra gli Stati ed è mosso, almeno in teoria, dalla necessità di promuovere il rispetto per i diritti umani e la democrazia.

Fonti e Approfondimenti:

Carta delle Nazioni Unite (San Francisco, 26 giugno 1945), https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/20012770/200609120000/0.120.pdf

UNSC res. 1368 (2001), http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/RES/1368(2001)

UNSC res. 1373 (2001), http://www.un.org/en/sc/ctc/specialmeetings/2012/docs/United%20Nations%20Security%20Council%20Resolution%201373%20(2001).pdf

– DAVID Kretzmer, The Inherent Right to Self-Defence and Proportionality in Jus Ad Bellum, http://www.ejil.org/pdfs/24/1/2380.pdf

LORENZO Trombetta, ‘La Siria, Hezbollah e quei razzi d’avvertimento su Israele’ (2011) LIMES, http://www.limesonline.com/rubrica/la-siria-hezbollah-e-quei-razzi-davvertimento-su-israele

Max Planck Institute for comparative public law and international law, http://www.mpil.de/en/pub/publications/archive/wcd.cfm?fuseaction_wcd=aktdat&aktdat=106010000100.cfm

MICHEAL Wood, International Law and the use of force: what happens in practice?, in Indian Journal of International Law, 2013, http://legal.un.org/avl/pdf/ls/Wood_article.pdf

http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20060811163811

NICHOLAS Rostow, International Law and the Use of Force: A Plea for Realism, 34 Yale J. Int’l L. (2009). Available at: http://digitalcommons.law.yale.edu/yjil/vol34/iss2/13

https://www.peacepalacelibrary.nl/research-guides/war-and-peace/use-of-force/