GLOSSARIO

SEDICENTE

sedicènte (ant. ‘sé dicènte’) agg. [comp. di  e dicente (part. pres. di dire); propr. «che si dice, che dice sé stesso», calco del fr. soi-disant]. – Che dice di essere, che si spaccia per qualcuno, che si attribuisce cioè titoli, generalità, qualifiche, qualità che non sono o che si sospettano non essere rispondenti a quelle reali: il s. dottore è stato smascheratohanno accertato le vere generalità del s. consoleun s. ispettore ha truffato varî commercianti; anche in senso più obiettivo, che si afferma tale: l’attentato è stato rivendicato da un s. gruppo di separatisti baschi. ◆ La parola sembra essersi diffusa in Italia nella 2a metà del Settecento, trovando fortuna dapprima nella libellistica antigesuitica d’influenza francese, in frasi quali la sedicente Società o Compagnia di Gesùi sedicenti gesuiti.
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sedicente /sedi’tʃɛnte/ agg. [comp. di  e dicente (part. pres. di dire), calco del fr. soi-disant]. – [che si attribuisce titoli, generalità, qualifiche, qualità che non sono quelle reali: un s. dottore] ≈ soi-disant. ‖ falso, presunto. ↔ ‖ autentico, vero.
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Aggettivo
sedicente m e f (plurale: sedicenti)

  1. che dice di essere; che afferma di possedere qualificazioni, meriti, titoli, generalità, qualità e sim.
  2. Lautore del libro, sedicente esperto di chimica, ha dimostrato di essere un ottimo oratore”
  3. impiegato negativamente, quando non si vuol riconoscere le qualità che alcuno dice se di avere, cioè attribuisce a se stesso

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SIGNIFICATO
Chi dice di essere, chi si spaccia per qualcuno che in realtà non è

ETIMOLOGIA dal latino:
se sé dicere dire.

PAROLA DELLE ORIGINI
Anche se esprime una sfiducia palese e affilata sulla sincerità di una persona nel parlare di sé, questa parola spinge la propria lineare raffinatezza a mantenere un dubbio sulla punta del suo fioretto: il sedicente, se pure si presume che menta, formalmente non è ancor detto che lo faccia.
In ogni caso è una parola che, al fin della ripresa, tocca.

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RECUPERO CREDITI DA PARTE DI SOCIETA’ PRIVATE …

in forza alla norma contenuta all’art.1393 «giustificazione del potere del rappresentante» c.c. italiano, chiedo l’invio di copia autentica ex art.7/6° co. d.p.r. 12.4.2006 n.184 e di data certa del mandato che «diTe» conferitoVi dalla P.A. sedicente «creditrice», pena la denuncia per falsus procurator.
Chiedo inoltre le generalità complete di chi agisce e di coloro per le quali agiTe, nonché gli estremi completi relativi a importi non pagati di cui reclamaTe l’inventato credito.
Rinnovo «ex persona» la Vostra costituzione in mora debendi (già «ex re») ex art.1219 c.c. italiano.


ecco cosa succede in ambito dello stato straniero italiano.

Cosa succede se non si risponde al recupero crediti?
Che succede se non si risponde al recupero crediti? Assolutamente nulla! Il non rispondere al recupero crediti non ha alcun valore legale o giuridico. Anche se la diffida ad adempiere da parte dell’esattore dovesse arrivare con raccomandata, si potrebbe non rispondere.

Che succede se non paghi il recupero crediti?
La risposta è: non ti succede nulla. Contrariamente a quanto fanno credere gli operatori di queste società (ufficiale giudiziario, pignoramento, blocco stipendio, blocco conto corrente), il recupero crediti non può fare assolutamente nulla, perché non ne ha il potere e non ha il diritto secondo il nostro ordinamento.

Cosa non possono fare le società di recupero crediti?
Le società di recupero crediti non possono riferire informazioni false o ingannevoli al fine di ottenere il pagamento della somma dovuta dal debitore. Non possono nemmeno minacciare azioni intimidatorie o iniziative legali sproporzionate.

Come liberarsi del recupero crediti?
In questo caso esistono svariate opzioni per risolvere la questione: pagare quanto richiesto entro i termini previsti dal recupero crediti e chiudere la pratica; chiedere una dilazione dei termini di pagamento; proporre una soluzione a saldo e stralcio.

Quante volte può chiamare il recupero crediti?
Il recupero crediti non può telefonarti ad ogni ora.
Allo stesso modo non possono chiamare con una frequenza eccessiva. Una o due volte a settimana può essere più che sufficiente per ricordare l’esistenza di importi scaduti.


avv. Angelo Greco (CLICCA QUI)

Che potere hanno le società di recupero crediti?
Le società di recupero credito infatti (quelle serie) hanno un solo unico scopo: il recupero del denaro eventualmente dovuto. Nel caso in cui non si riesca a recuperare il denaro la pratica passa al proprietario del credito che ha facoltà di esperire il tentativo giudiziario per il recupero del denaro.

Cosa fanno quelli del recupero crediti?
L’addetto al recupero crediti, detto anche Credit Collector, è una figura professionale che opera nel settore Recupero Crediti. Il suo compito è quello di contattare i debitori per sollecitare i pagamenti ed estinguere i debiti nei confronti dei creditori.

Cosa rischia chi convive con una persona con debiti?
L’autore di questa risposta ha richiesto la rimozione di questo contenuto.

Quanto dura il recupero crediti?
In linea di massima il tempo minimo di emissione di un decreto ingiuntivo è di 24 ore il tempo massimo è di 12 mesi. Tra questi due estremi è possibile stabilire una durata media di 15 – 30 giorni.

Cosa ti possono pignorare se non ho nulla?
Ad un nullatenente che ha crediti e debiti da saldare, stando a quanto previsto dalle leggi 2022, si possono pignorare prima casa di proprietà, soldi detenuti all’estero o in carte prepagate e anche il 50% dei beni del coniuge se in regime di comunione di beni con il coniuge debitore.

Come fare se non si riesce a pagare i debiti?
La legge dice che se una banca, una finanziaria, un fornitore o persino Equitalia, ti richiede il pagamento di un debito dopo che è trascorso il tempo previsto, se vuoi opporti e non pagare devi chiedere ad un giudice di annullare la loro richiesta perché il debito è scaduto, è prescritto.

Quando va in prescrizione un prestito non pagato?
Quando vanno in prescrizione i debiti con le finanziarie?
La prescrizione delle somme dovute a banche e finanziarie vanno in prescrizione dopo cinque anni.

Quando decade un prestito non pagato?
Secondo quanto prescritto dall’articolo 2946 del Codice Civile, i debiti derivanti da un prestito si prescrivono in dieci anni. Oltrepassato questo limite di tempo, il creditore non può più esigere il pagamento delle rate del prestito personale.

Quanto costa una causa per recupero crediti?
Percentuale per recupero crediti
Il secondo costo per la riscossione di un credito è calcolato su una percentuale del credito recuperato. Questo può oscillare tra il 3% ed il 15%.

Quanto tempo ci vuole per fare un pignoramento?
Salvo le ipotesi di adempimento immediato previste dall’art. 482 c.p.c., per poter procedere al pignoramento occorre attendere che siano trascorsi almeno 10 giorni (ma non più di 90) dalla notifica dell’atto di precetto al debitore.

Quali sono i debiti che ricadono sui figli?
I debiti dei genitori ricadono sui figli solo dopo la morte dei primi, tranne in due specifici casi che vedremo più avanti.
Ecco quali sono:

  • Multe stradali;
  • Sanzioni amministrative;
  • Sanzioni penali;
  • Sanzioni tributarie;
  • Assegni di mantenimento;
  • Debiti di gioco e scommesse;
  • Contratti personali.

Cosa succede se ho troppi debiti?
Quando a seguito dei troppi debiti non riesci a pagare, i creditori possono cercare di riprendere i propri soldi con il pignoramento e la vendita dei beni del debitore. Pertanto, se non si pagano i propri debiti si potrà perdere la casa, ma anche vedersi pignorato un quinto dello stipendio o il conto corrente.

Cosa succede se non si paga la carta di credito?
Prima di tutto la banca provvederà ad addebitare l’importo sul conto corrente e se il conto ha un saldo pari a zero allora il conto andrà in rosso andando a peggiorare la situazione in quanto matureranno anche gli interessi passivi da pagare e le spese per il recupero debiti.

Come rispondere a un’agenzia di recupero crediti?
Come rispondere al recupero crediti? (vedi inizio questo capitolo)

  1. Chiedendo le generalità di chi ti sta chiamando.
  2. Facendosi dare gli estremi delle fatture scadute e dei relativi importi non pagati.
  3. Garantendo di richiamare ad un ora precisa (o un giorno vicino) dopo aver verificato.

Cosa succede se non si pagano i debiti con la banca?
Pignoramento dei beni per i debitori insolventi
Se non hai pagato i tuoi debiti alla banca, uno dei rischi maggiori è il pignoramento dei beni. Infatti, com’è facile immaginare, la banca proverà qualsiasi strada pur di recuperare le somme che le spettano. Il pignoramento dei beni serve proprio a questo.

Quando il creditore non può più esigere il debito?
La prescrizione del recupero crediti inizia a decorrere dal momento in cui il creditore fa valere il suo diritto al recupero del credito nei confronti del debitore. Da quel momento, trascorsi dieci anni, il diritto di credito non può più essere esercitato nei confronti del debitore perché per legge il debito decade.

Come uscire dai debiti senza pagare i creditori?
Un secondo modo poi per uscire dai debiti senza soldi da parte nel 2022 è il cosiddetto saldo e stralcio. Con il saldo e stralcio, il debito viene scontato sempre a patto che ci sia un accordo tra le parti che possono essere l’Agenzia delle Entrate oppure banche e finanziarie.

PERSONE FISICHE

PERSONE FISICHE

In tutti gli ordinamenti statali la soggettività giuridica è riconosciuta all’essere umano in quanto persona fisica; tuttavia, negli ordinamenti del passato esistevano esseri umani ai quali non era attribuita alcuna soggettività giuridica: gli schiavi.

La soggettività giuridica delle persone fisiche non è, invece, sempre presente negli ordinamenti diversi da quelli statali: ad esempio, nel diritto internazionale sono per definizione soggetti di diritto gli stati e le organizzazioni internazionali ma non le persone fisiche.

Tuttavia, esiste anche un ordinamento giuridico internazionale derivato da quello degli Stati sovrani, del quale il diritto internazionale in senso proprio è soltanto una componente.

Un possibile esempio di soggettività è il ricorso di un gruppo di privati cittadini alla Corte penale internazionale avverso l’autorità statale o un Capo di Stato, di cui fu un precedente storico del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia.

La soggettività della persona fisica di norma ha inizio con la sua nascita e cessa alla sua morte.

Esiste un diritto successorio e il cosiddetto “diritto della vedova” i cui effetti scaturiscono dalla soggettività giuridica della persona fisica, ma si estendono agli eredi e ai discendenti legittimi, oltre la morte del corpo.

Nascita e morte sono entrambi fatti naturali, in quanto eventi biologici, ma l’ordinamento può stabilire il momento esatto in cui si considerano accaduti; la morte, inoltre, può essere presunta in caso di protratta assenza, accertata con le modalità stabilite dall’ordinamento.

L’ordinamento può attribuire la titolarità di alcune situazioni giuridiche soggettive al nascituro o concepito, condizionandole al fatto che nasca, sicché prima della nascita tali situazioni giuridiche sono solo potenziali.

Ciò esclude che si possa parlare, in questi casi, di capacità giuridica del concepito; è invece controverso se si tratti di una forma di soggettività giuridica, seppur imperfetta.

 

SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE

Sono soggetti del diritto internazionale:

La soggettività internazionale di altri enti è, invece, controversa: parte della dottrina e gran parte della comunità internazionale la riconosce al Sovrano Militare Ordine di Malta, mentre la maggioranza della dottrina la esclude per i popoli in sé e per le organizzazioni non governative.

La soggettività internazionale degli stati – i soggetti più importanti del diritto internazionale – non deriva da un atto di riconoscimento ma direttamente dall’ordinamento il quale, conformemente al principio di effettività, si limita a prendere atto dell’esistenza, in via di fatto, di uno Stato, attribuendogli automaticamente la soggettività. In particolare, secondo l’art. 1 della Convenzione di Montevideo, sottoscritta nel 1933, uno Stato è soggetto di diritto internazionale per il solo fatto di possedere:

  • una popolazione permanente;
  • un territorio definito;
  • un governo (nel senso di un potere di governo esercitato in modo esclusivo);
  • la capacità di intrattenere rapporti con altri stati.

Conseguentemente l’art. 3 della Convenzione chiarisce che: “L’esistenza politica di uno Stato è indipendente dal riconoscimento degli altri Stati”, mentre in passato si riteneva che fosse tale riconoscimento a far sorgere la soggettività internazionale di uno stato. Oggi, dunque, il riconoscimento degli altri stati non ha più valore giuridico ma solo politico.

RECIPROCITA’ – PRINCIPIO DI RECIPROCITA’ – (DIRITTO)

PRINCIPIO DI RECIPROCITA’ (DIRITTO)

Il principio di reciprocità, in diritto a livello internazionale, costituisce una figura di ritorsione e di dissuasione, e come tale venne assunto nella vigente codificazione italiana del 1942.

Oggi esso viene valutato[1] come un principio di giustizia commutativa a livello internazionale, non disgiunto dal principio di premialità, quale stimolo e invito ad altri ordinamenti a modificare la loro legislazione in senso più liberale. La reciprocità, ancora oggi, può ispirare in ordinamenti stranieri, specie in quelli democratici, comportamenti virtuosi, mediante stimolo all’abrogazione di norme discriminatorie nei confronti dello straniero.

La norma che enuncia il principio di reciprocità nell’ordinamento giuridico italiano è riportata nell’articolo 16 delle disposizioni preliminari al codice civile italiano, denominate anche disposizioni sulla legge in generale e comunemente note come preleggi.

L’articolo 16 (Trattamento dello straniero) recita letteralmente:

«1. Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali.

  1. Questa disposizione vale anche per le persone giuridichestraniere.»

diritti civili cui si riferisce l’articolo 16 preleggi sono i diritti e le libertà relativi ai normali rapporti di diritto privato nel campo della proprietà, delle successioni, del possesso, delle obbligazioni e dell’economia[2].

Tale norma condiziona la capacità giuridica dello straniero in Italia: essa infatti sottopone alla condizione della verifica positiva di pari trattamento del cittadino italiano, nello Stato estero di cui lo straniero sia cittadino, la possibilità per tale straniero di esercitare in Italia i diritti civili, e cioè a titolo meramente esemplificativo esser soggetto di diritti, agire in giudizio, contrarre obbligazioni, concludere negozi giuridici, e quindi tra l’altro anche acquistare un immobile in territorio italiano.

La norma, pur essendo collocata in ambito privatistico, ha finalità manifestamente pubblicistiche, anche se in relazione ad attività essenzialmente privatistiche quali quelle consistenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale da parte dello straniero. Gli obiettivi della norma sono comunque di carattere pubblico, e si rinvengono chiaramente nella funzione della tutela, da parte dello Stato, dei propri cittadini all’estero.

Pertanto, affinché si possa concretamente verificare la reciprocità, è indispensabile l’esame della concreta applicazione di una normativa o della prassi dello Stato estero, per poter comprendere quale livello di discriminazione, ammesso che discriminazione vi sia, venga praticato dallo Stato estero nei confronti del cittadino italiano.

Tipologia

La dottrina distingue tradizionalmente, a seconda dell’ambito di applicazione, in:

  1. reciprocità diplomatica;
  2. reciprocità legislativa;
  3. reciprocità di fatto.
  • La reciprocità diplomatica, detta anche convenzionale, deriva da trattaticonvenzioni internazionali che regolino i rapporti tra i Paesi contraenti e attribuiscano dei diritti ai rispettivi cittadini; tali trattati o convenzioni possono a loro volta prevedere una condizione di reciprocità per l’attribuzione di taluni diritti, ma se, come avviene nella maggior parte dei casi, non sia prevista alcuna condizione di reciprocità in essi, il trattato si applicherà direttamente, senza più implicare alcun controllo e verifica della reciprocità.
  • La reciprocità legislativa viene verificata mediante un confronto tra le legislazioni di due o più Stati, onde rilevare la non discriminazione dei cittadini del proprio Stato nell’altro Stato, rispetto al godimento dei diritti attribuiti da quest’ultimo ai suoi cittadini.
  • La reciprocità di fatto implica non solo un confronto teorico tra le diverse legislazioni agli stessi fini di quanto ora detto, ma anche e soprattutto della prassi, mediante l’esame della concreta circostanza che non sussista effettiva discriminazione nei confronti dei cittadini del proprio Stato nell’altro Stato, nell’applicazione delle norme e delle prassi di quest’ultimo.

 

Applicazione

Il confronto, necessario spesso per l’applicazione, può atteggiarsi in due modi:

  1. a) verifica punto per punto: gli istituti e le materie, nonché la regolamentazione degli stessi, devono corrispondere in pieno, e non risulterà verificata la condizione di reciprocità per quegli aspetti che divergano dalla corrispondenza piena;
  2. b) verifica generica: è richiesto, perché possa dirsi verificata la condizione di reciprocità, una sufficiente somiglianza tra le discipline degli Stati posti a confronto.

La verifica di fatto e punto per punto è il criterio per lo più utilizzato dal Ministero degli affari esteri, cui l’articolo 49 del D.P.R. 5 gennaio 1967 n. 200 (legge consolare) attribuisce la facoltà di rilascio di “attestazioni concernenti leggi e consuetudini” nello Stato estero, e cui l’articolo 1 comma 1 del D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394 attribuisce il compito di comunicare, a richiesta:

«ai notai ed ai responsabili dei procedimenti amministrativi che ammettono gli stranieri al godimento dei diritti in materia civile i dati relativi alle verifiche del godimento dei diritti in questione da parte dei cittadini italiani nei Paesi d’origine dei suddetti stranieri.»

La norma di cui all’articolo 16 delle preleggi è da ritenersi tuttora vigente, anche perché mai espressamente abrogata da alcuna disposizione sopravvenuta.

Il suo campo di applicazione, però, si è andato via via restringendo, a seguito di norme successive che ne hanno delimitato l’operatività a casi sempre più marginali: è il caso della Costituzione della Repubblica Italiana, della legge 31 maggio 1995 n. 218 di riforma del diritto internazionale privato italiano, dei provvedimenti sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero di cui dapprima alla legge 6 marzo 1998 n. 40, indi al d,lgs 25 luglio 1998 n. 296, con le importanti modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002 n. 189 (cosiddetta legge Bossi-Fini) e del succitato D.P.R. n. 394/1999, modificato e integrato dal regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 14 settembre 2011 n. 179.[3]

Sulla sua vigenza e compatibilità con la Costituzione della Repubblica Italiana non ebbe comunque dubbi neanche la Corte costituzionale (sentenza n. 11 del 21 marzo 1968).

Tra i trattati sottoscritti dall’Italia, i quali hanno avuto per effetto di escludere l’operatività del principio di reciprocità nelle fattispecie ivi previste, vanno annoverati i trattati CEE/CE/UE, il trattato Spazio economico europeo (SEE), la Convenzione di New York del 28 settembre 1954 (per gli apolidi) e la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (per i rifugiati), nonché la maggior parte dei trattati e degli accordi di commercio internazionali.

Sono esclusi dal campo di applicazione dell’articolo 16 prel. i cosiddetti diritti politici (diritto di elettorato attivo e passivo, diritto di accesso ai pubblici uffici, diritto di accesso alle cariche elettive, diritto di associazione a fini politici), conferiti dalla legge solo ai cittadini dello Stato, salve poche eccezioni concernenti (in genere) il settore amministrativo o politico locale.

Si osserva[4] che la formula “diritti civili” è generalmente convertita in “capacità giuridica di diritto privato”, in tal modo riferendola all’idoneità a essere titolari di diritti e di doveri, di libertà e di facoltà, che rientrano nella sfera dei rapporti privati, sottolineando l’estraneità, alla norma di cui all’articolo 16 preleggi, dei diritti politici.

Lo straniero di cui parla la norma è, con tutta evidenza, colui che non possiede la cittadinanza italiana, se persona fisica, o la nazionalità italiana, se persona giuridica.

Tuttavia, l’adesione ad accordi internazionali ha sottratto alla definizione di straniero gran parte dei continentali europei, mentre accordi e leggi interne hanno sottratto all’operatività della condizione di reciprocità, pur permanendo la qualifica di straniero, un’altra grande parte di soggetti.

Presupposti

In effetti, l’applicazione della norma è oggi molto limitata dai seguenti fattori:

1) l’appartenenza alla Unione europea della maggior parte degli Europei ne impedisce di diritto l’applicazione nei confronti dei cittadini dell’Unione stessa: articolo 52 del trattato di Roma istitutivo della CEE, oggi articoli 49 e seguenti del trattato di Lisbona (testo consolidato); articoli 2, 3 e 6 del trattato di Maastricht (nel testo consolidato di Lisbona), ove tra l’altro – articolo 9 – si enuncia per la prima volta la comune “Cittadinanza dell’Unione europea”, conferita ai cittadini dei paesi membri della UE in aggiunta alla loro cittadinanza nazionale (quindi, ogni cittadino di uno Stato dell’Unione è oggi concittadino di ogni cittadino di altro Stato dell’Unione);

2) l’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), vigente tra l’Unione europea e tre dei quattro Stati dell’Associazione europea di libero scambio (AELS), precisamente NorvegiaIslanda e Liechtenstein (esclusa quindi la Svizzera), parifica in pratica i cittadini di questi tre Stati EFTA aderenti allo SEE ai cittadini dell’Unione europea, escludendo quindi tra l’altro la necessità che sia verificata o meno la reciprocità per l’ammissione dei cittadini di questi Paesi al godimento dei diritti civili in Italia;

3) la verifica della condizione di reciprocità non si applica neanche ai cittadini stranieri cittadini di Paesi non UE e non SEE, purché siano regolarmente soggiornanti in Italia, titolari di carta di soggiorno, ovvero titolari di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo o per l’esercizio di un’impresa, nonché ai relativi familiari in regola con le norme per il soggiorno, secondo la normativa sull’immigrazione sopra citata;

4) la verifica non si applica neanche, in base al decreto legislativo 6 febbraio 2007 n. 30, ai familiari (cittadini non UE) di cittadini UE] (e anche di cittadini SEE, di cittadini della Repubblica di San Marino e di cittadini della Svizzera), che soggiornino in Italia alle condizioni previste da tale decreto;

5) la verifica non si applica né agli apolidi (articolo 7 della Convenzione di New York del 28 settembre 1954, resa esecutiva in Italia con legge 1º febbraio 1962 n. 306), anche perché non essendo costoro cittadini di alcuno Stato non potrebbe esserci alcuna comparazione, né si applica ai soggetti aventi la qualifica di rifugiato (articolo 7 paragrafo 2 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo statuto dei rifugiati, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 24 luglio 1954 n. 722), sempreché tali soggetti risultino regolarmente residenti in territorio italiano da almeno tre anni;

6) secondo alcuni autori[5] essa non si applicherebbe neanche agli “italiani non appartenenti alla Repubblica” di cui all’articolo 51 comma 2 della Costituzione della Repubblica Italiana;

7) essa inoltre non si applica neanche ai cittadini svizzeri che fissino la loro residenza principale in Italia in base agli Accordi bilaterali tra Svizzera e Unione europea, e specificamente all’Accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone (ALC) firmato il 21 giugno 1999 a Lussemburgo tra la Comunità europea e la Svizzera, reso esecutivo in Italia con legge 15 novembre 2000 n. 364.

Ricadono dunque nella previsione dell’articolo 16 preleggi tutti gli altri stranieri, non cittadini di Paesi dell’Unione europea, non cittadini di Paesi aderenti allo SEE, non familiari dei precedenti, non apolidi, non rifugiati, o non regolarmente soggiornanti in Italia secondo quanto previsto dalle leggi sull’immigrazione e relativi regolamenti, come sopra, o ivi soggiornanti con motivazioni diverse da quelle previste dalle predette leggi per l’esclusione della verifica della condizione di reciprocità.

I cittadini svizzeri, in base all’Accordo di cui sopra, e contrariamente ai cittadini degli altri Paesi non UE e non SEE, godono di un immediato ed effettivo diritto soggettivo al soggiorno nei Paesi UE/SEE; ma, finché essi non fissino la propria residenza principale in Italia, anche a prescindere dalle motivazioni prescritte dalle leggi italiane sull’immigrazione che si applicano agli altri cittadini stranieri, devono sottostare alla verifica della reciprocità per l’ammissione al godimento dei diritti civili in [Italia.

La verifica negativa della reciprocità ha come conseguenza, per lo straniero, un vero e proprio deficit di capacità giuridica.

Si ritiene preferibile atteggiare il deficit di capacità derivante allo straniero dalla verifica negativa della condizione di reciprocità come incapacità giuridica speciale, la quale provoca l’inidoneità, per il soggetto incapace, a esser parte di una specifica situazione giuridica soggettiva; alcuni esempi di incapacità giuridica speciale possono essere rinvenuti, nell’ordinamento italiano, nell’inidoneità all’adozione o a contrarre matrimonio da parte di alcuni soggetti dell’ordinamento, altrimenti dotati di capacità giuridica. L’incapacità giuridica speciale non intacca comunque la capacità giuridica generale che si acquista al momento della nascita (articolo 1 codice civile) e si estingue con la morte della persona, permanendo durante tutta la vita della persona.

La conseguenza di questa incapacità giuridica speciale, secondo una parte della dottrina, sarebbe la nullità del negozio giuridico che eventualmente lo straniero avesse comunque stipulato, con le conseguenze della rilevabilità d’ufficio, dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità, dell’insanabilità del vizio; ferma restando però, nel caso di acquisti immobiliari, la previsione di cui all’articolo 2652 comma 6 del codice civile.

Si è affermata in tempi più recenti[6] la teoria secondo la quale il negozio giuridico, comunque stipulato dallo straniero nonostante l’assenza di condizione di reciprocità, non sia affetto da nullità, né assoluta né relativa, ma solo da inefficacia, figura ritenuta più aderente e più idonea per la qualificazione di una simile fattispecie con connotazioni di internazionalità.

 

REGISTRARE DI NASCOSTO PER DOTARSI DI PROVE

Registrazioni di nascosto a colleghi e datore di lavoro: valgono come prova

Il lavoratore, a determinate condizioni, può usare strumenti di registrazione audio sul luogo di lavoro per tutelarsi contro le dedotte condotte vessatorie del datore di lavoro anche travalicando i limiti del diritto alla riservatezza

  • Registrazioni occulte colleghi e datore di lavoro
  • Vessazioni sul luogo di lavoro: il caso
  • Ammissione delle prove
  • Testo integrale dell’ordinanza del tribunale di Cassino

Registrazioni occulte colleghi e datore di lavoro

Al lavoratore è riconosciuto il diritto a costituirsi mezzo di prova contro il datore di lavoro in una causa futura se le registrazioni siano effettuate con il genuino intento di tutelare la propria posizione lavorativa e procurarsi una fonte di prova da utilizzare nel processo.

È quanto statuito dal Tribunale di Cassino – Sezione Lavoro, con ordinanza del 18.07.2022 (testo in calce).

Vessazioni sul luogo di lavoro: il caso

Nella vicenda in oggetto, il lavoratore adiva il Tribunale ordinario, in funzione di Giudice del Lavoro, deducendo di aver patito condotte vessatorie ed illegittime da parte del datore di lavoro.

A sostegno di quanto affermato, il lavoratore produceva, tra le altre fonti di prova, delle registrazioni audio raccolte per il mezzo del telefono cellulare che il ricorrente aveva usato all’interno della sede di lavoro.

Si costituiva in giudizio la difesa della ditta datoriale, contestando gli assunti del ricorrente e chiedendo si dichiarasse l’inammissibilità delle predette registrazioni fonografiche in quanto raccolte in violazione dei precetti di cui al documento sottoscritto dal lavoratore quale titolare del trattamento dei dati personali ex art. 29 GDPR 679/2016, ritenendo sussistente, peraltro, il reato di violazione della privacy di cui all’art. 167 del Codice della privacy.

Ammissione delle prove

Il Tribunale di Cassino, Giudice del Lavoro, ha osservato che la prova raccolta dal lavoratore con la fonoregistrazione a mezzo del telefono cellulare può validamente essere prodotta nel processo lavoristico alla luce del principio secondo cui la finalità difensiva della registrazione dei colloqui tra dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro esclude la necessità di chiedere il consenso dei presenti.

Ciò con la preminente finalità di contemperare la norma sul consenso del trattamento dei dati personali con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio.

Ne discende la assoluta legittimità della condotta del lavoratore che abbia effettuato le registrazioni occulte se pertinenti alle tesi difensive e non eccedenti le connesse finalità (Cass. Civ. 12534/2019; Cass. Civ. 11322/2018; Cass.Civ. 27424/2014).

Il Giudice del Lavoro, dunque, nell’ ammettere al compendio probatorio del giudizio le registrazioni prodotte dal ricorrente – in un’ottica di bilanciamento tra diritti costituzionalmente protetti – ha riconosciuto prevalenza, rispetto al diritto dell’interessato ad opporsi al trattamento dei dati personali – cosiddetto “ius arcendi” – al trattamento dei dati stessi qualora effettuato per ragioni di giustizia.

Il Giudice ha evidenziato, tra l’altro, che, sotto il profilo normativo, tale impostazione trovava collocazione nell’art. 47 del D.Lgs 196 del 2003 e trova attuale riconoscimento in seno all’art. 2-undecies del medesimo decreto, come introdotto dall’articolo 2 comma 1 lett. f del D. Lgs 10.08.2018 n. 101, recante disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale dai dettami del Regolamento UE 2016/679.

DIRITTO POTESTATIVO

DIRITTO POTESTATIVO

Il diritto potestativo è la situazione giuridica soggettiva che consiste nell’attribuzione di un potere a un soggetto allo scopo di tutelare un suo interesse.

Si contrappone, pertanto, alla potestà nella quale il potere è attribuito al soggetto a tutela di un interesse altrui. Il diritto potestativo è una situazione giuridica soggettiva propria del diritto privato, mentre la potestà, pur essendo presente anche nel diritto privato, è tipica del diritto pubblico.

A fronte del diritto potestativo del soggetto attivo, il soggetto passivo del rapporto giuridico si trova in una posizione di soggezione. Va però precisato che l’ordinamento giuridico può attribuire al soggetto passivo una tutela nei confronti del potere altrui, sicché la sua situazione giuridica è qualcosa di più di una mera soggezione.

SOGGEZZIONE – IN DIRITTO

SOGGEZZIONE

Con soggezione, in diritto, si indica la situazione giuridica soggettiva del soggetto di diritto che, pur non essendo gravato dal dovere di tenere un certo comportamento, deve tuttavia subire gli effetti giuridici dell’esercizio del potere altrui.

Affinché ci sia presenza di un potere e della correlativa soggezione non è necessario che una persona sia investita di autorità, basta che si trovi comunque in situazione tale da far subire ad un’altra persona gli effetti dell’esercizio del proprio potere. Ad esempio, l’articolo 874 del codice civile italiano prevede che se Tizio costruisce un muro sul confine, Caio, proprietario del terreno confinante, ha il potere di chiedere la comunione del muro. In questo caso, Tizio si trova in una situazione di soggezione, giacché Caio, qualora avanzi (validamente) tale richiesta, farà sorgere la comunione e Tizio non potrà che subire tale effetto.

Un esempio di soggezione è quello del minorenne nei confronti dei genitori (o di chi ne fa le veci) che esercitano un potere nel suo interesse (si tratta, quindi, più precisamente di un potere-dovere, ossia una potestà). Il genitore, infatti, può prendere decisioni e compiere atti nell’interesse del minore che questi, in quanto tale, non potrebbe compiere ed i cui effetti può solo subire.

Mancando l’obbligo o, più in generale, il dovere di tenere un certo comportamento, non ha senso parlare di violazione della soggezione (e di lesione del corrispondente potere) come invece si parla di violazione del dovere (e di lesione del corrispondente diritto soggettivo).

SOGGETTO DI DIRITTO

SOGGETTO DI DIRITTO

Un soggetto di diritto indica un soggetto passibile di essere titolare di rapporti giuridici attivi e/o passivi.

La soggettività giuridica è correlata alla capacità giuridica, intesa come idoneità a essere titolare di diritti e doveri o più in generale di situazioni giuridiche soggettive. Tuttavia, una diffusa teoria vede una forma di soggettività giuridica, seppur di grado minore, anche in quei casi in cui l’ordinamento attribuisce a un’entità la titolarità di certe situazioni giuridiche soggettive, come quando gli riconosce una certa autonomia patrimoniale, ossia la separazione, anche se non completa, tra il patrimonio a essa riferibile e quello di altre entità.

Non è invece essenziale alla soggettività giuridica la capacità di agire, intesa come idoneità di un soggetto giuridico a porre in essere atti giuridici validi. Possono esserci, infatti, soggetti di diritto privi di capacità di agire, sicché per essi gli atti giuridici devono essere posti in essere da altri soggetti (si pensi ai figli minorenni per i quali agiscono, di regola, i genitori).

Va rilevato che l’ordinamento giuridico preesiste ai soggetti di diritto, nel senso che è l’ordinamento stesso a stabilire quali sono gli esseri o le entità del mondo reale cui è attribuita la soggettività.