AUTODETERMINAZIONE…DIRITTO DI

Affrontiamo ogni giorno i contraccolpi che gravano sul nostro futuro.
Coloro che fanno qualcosa per garantirlo e migliorarlo
sono reietti, derisi, ripudiati, respinti … ma ogni giorno sono sempre di più.
Come un tempo, anche oggi
c’è chi è abituato ad abusare, a lucrare e gozzovigliare a discapito degli altri.
Ci è stato strappato il diritto di decidere
senza impedimenti e autonomamente come e quando vivere la nostra vita.
Ci è stato negato l’innato e fondamentale diritto di autodeterminazione
che custodisce i sacrosanti principi che
tutti noi rivendichiamo nelle lotte di ogni giorno.
Noi siamo
ciò che abbiamo deciso di essere
e liberamente
abbiamo deciso di essere ciò che siamo
da sempre un Popolo e una Nazione.
WSM
Con onore e rispetto
Venethia, mercoledì 16 agosto 2023

 

 

 


Il principio di autodeterminazione dei popoli sancisce l’obbligo, in capo alla comunità degli stati, a consentire che un popolo sottoposto a dominazione straniera (colonizzazione o occupazione straniera con la forza), o facente parte di uno stato che pratica l’apartheid, possa determinare il proprio destino in uno dei seguenti modi: ottenere l’indipendenza, associarsi o integrarsi a un altro stato già in essere, o, comunque, a poter scegliere autonomamente il proprio regime politico (c.d.: «autodeterminazione esterna»).
Il principio, nell’ambito del diritto internazionale, esplica i suoi effetti solo sui rapporti tra gli stati e non sancisce alcun diritto all’autodeterminazione in capo a un popolo: quest’ultimo, infatti, non è titolare di un diritto ad autodeterminare il proprio destino ma è solo il materiale beneficiario di tale principio di diritto internazionale, i cui effetti, invece, si ripercuotono solo sui rapporti tra stati: questi, se ne ricorrono le anzidette condizioni, sono tenuti ad acconsentire all’autodeterminazione.

Il principio non è applicabile ai paesi sottoposti a occupazione straniera prima della fine della seconda guerra mondiale (irretroattività), a meno che non si tratti di paesi coloniali.
Tale principio costituisce una norma di diritto internazionale generale, cioè una norma che produce effetti giuridici (diritti e obblighi) per tutta la Comunità degli Stati.
Inoltre, questo principio è anche una norma di ius cogens, cioè diritto inderogabile, un principio supremo e irrinunciabile del diritto internazionale, per cui non può essere derogato mediante convenzione internazionale.
Come tutto il diritto internazionale, il principio di autodeterminazione viene ratificato da leggi interne: per esempio, in Italia, vi è la L. n. 881/1977; nell’ordinamento italiano il principio vale come legge dello Stato che prevale sul diritto interno (Cass. pen. 21-3 1975).
L’autodeterminazione dei popoli costituisce un principio fondamentale del diritto internazionale contemporaneo, in virtù del quale tutti i popoli hanno diritto a decidere autonomamente del proprio assetto politico, economico e sociale. La Corte internazionale di giustizia lo ha caratterizzato come un principio da cui derivano obblighi c.d. erga omnes, al cui rispetto hanno un interesse giuridicamente riconosciuto tutti gli Stati, in nome e per conto della comunità internazionale (C.I.J., 30.6.1995, Case Concerning East Timor, Portogallo c. AustraliaC.I.J., 9.7.2004, Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, parere consultivo). Secondo parte della dottrina, il principio è diventato parte dello ius cogens, cioè di quel nucleo di norme inderogabili a tutela di valori fondamentali della comunità internazionale (cfr. Brownlie, I., Principles of Public International Law, VII ed., Oxford, 2008, 511; Cassese, A., Self-Determination of Peoples. A Legal Reappraisal, Cambridge, 1995, 140)Ciò nonostante, esso continua a essere contraddistinto da margini di incertezza giuridica, sia riguardo all’ambito soggettivo di applicazione, in particolare rispetto all’individuazione dei gruppi destinatari del corrispettivo diritto; sia riguardo alla possibilità che tale diritto possa essere esercitato al di fuori del contesto coloniale per condurre alla creazione di un nuovo Stato.
L’autodeterminazione dei pop—oli trova pieno riconoscimento giuridico nel 1945 con l’adozione della Carta delle Nazioni Unite. La Carta richiama il principio nel preambolo, all’art. 1, concernente le finalità dell’organizzazione, e all’art. 55, relativo all’azione delle Nazioni Unite in ambito economico e sociale e di promozione del rispetto dei diritti dell’uomo. Va notato tuttavia come, aldilà di questi riconoscimenti di natura generale e programmatica, l’autodeterminazione non appaia nei capitoli XI e XII relativi all’amministrazione dei territori coloniali, nelle rispettive forme dei territori non autonomi e delle amministrazioni fiduciarie. L’assenza nella Carta di meccanismi istituzionali e di specifiche procedure per dare attuazione al principio di autodeterminazione deriva dalle posizioni assunte da Francia e Gran Bretagna durante i lavori preparatori; queste miravano a garantire ampia discrezionalità alle potenze coloniali nello stabilire quando i popoli e i territori “d’oltremare” sotto il loro controllo avrebbero raggiunto quel grado di civilizzazione e di organizzazione politica necessario perché potessero costituirsi in nuovi Stati (Oeter, S., Self-Determination, in Simma, B., a cura di, The Charter of the United Nations. A Commentary, III ed., Oxford, 2012, 313 ss.).

È solamente con l’impetuosa affermazione dei movimenti indipendentisti nei contesti coloniali dell’Africa e dell’Asia, che il principio di autodeterminazione assume i contorni di un vero e proprio “diritto all’autodeterminazione” di cui i popoli sono destinatari, in quanto titolari o, perlomeno, beneficiari (per la tesi, prevalente nella dottrina italiana, secondo cui i popoli sarebbero meri beneficiari dell’obbligo degli Stati di rispettare il principio di autodeterminazione si veda, per tutti, Arangio Ruiz, G., Autodeterminazione (diritto dei popoli alla), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 1 ss.). Con le due risoluzioni 1514 (XV) e 1541 (XV), adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1960, si cristallizza una opinio iuris generalizzata, accompagnata da una successiva prassi applicativa guidata dalla stessa Assemblea generale, che riconosce in maniera incondizionata il diritto all’autodeterminazione in capo a tutti i popoli sottoposti a dominio coloniale; secondo la formula stabilita dalla stessa risoluzione 1541, i popoli possono liberamente scegliere tra l’indipendenza, un accordo di libera associazione con la madrepatria ovvero l’integrazione nello Stato amministrante. Con la risoluzione 2625 (XXV) sui principi di diritto internazionale che regolano le relazioni amichevoli tra Stati, approvata dall’Assemblea generale nel 1970, viene data compiuta espressione all’opinio iuris che il principio di autodeterminazione dei popoli si estenda anche a quelle situazioni in cui una popolazione sia sottoposta ad un qualsiasi dominio straniero, non necessariamente di natura coloniale (Tancredi, A., Autodeterminazione dei popoli, in Diz. dir. pubbl. Cassese, Milano, 2006, 568 ss.). L’adesione degli Stati a tale principio è stata poi riaffermata nel 1975 al Cap. VIII dell’Atto Finale della Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (in Int. L. Mat., 1975, 1292 ss.) e nel 1993 al par. 2 della Dichiarazione conclusiva della Conferenza mondiale sui diritti umani tenutasi a Vienna (UN doc. A/CONF.157/23).

Per quanto concerne il diritto pattizio, risalgono al 1966 i due Patti internazionali sui diritti civili e politici e sui diritti sociali, economici e culturali, il cui comune art. 1 riconosce il diritto all’autodeterminazione politica, economica, sociale e culturale di tutti i popoli. Il secondo paragrafo dell’art. 1 prevede anche il diritto dei popoli a disporre liberamente delle proprie risorse naturali, nel rispetto degli obblighi di diritto internazionale e delle esigenze della cooperazione economica internazionale. In questo secondo paragrafo, trova espressione pattizia il corollario della sovranità permanente dei popoli alle proprie risorse naturali, sviluppatosi soprattutto grazie all’azione dell’Assemblea generale (si veda soprattutto la risoluzione 1803 del 1962). Il terzo paragrafo dell’art. 1, oltre all’obbligo degli Stati di rispettare il diritto all’autodeterminazione, prevede anche l’obbligo positivo di promuoverlo. La natura erga omnes partes del principio in esame è stata messa in luce dal Comitato dei diritti umani nel 1984 nel General Comment No. 12, in cui ha stabilito che gli obblighi di cui all’art. 1 si applicano agli Stati, anche quando il popolo destinatario non sia da essi dipendente e che, in questi casi, gli Stati sono tenuti ad adottare tutte le misure positive per facilitare la realizzazione e il rispetto del diritto all’autodeterminazione e dei suoi corollari (UN doc. HRI/GEN/1/Rev.1). Infine, per quanto concerne il diritto internazionale regionale, il diritto all’autodeterminazione e alla sovranità permanente sulle risorse naturali è riconosciuto dalla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli agli artt. 20 e 21.

Ci si chiede oggi se il principio di autodeterminazione dei popoli, fatta eccezione per le poche vicende di teatri di crisi ereditati dall’era coloniale, come la Palestina (si veda, in ultimo, il richiamo al diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese al par. 1 della risoluzione 67/19, adottata dall’Assemblea generale il 29.11.2012, con cui la Palestina ha acquisito lo status di Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite) e il Sahara occidentale, abbia esaurito la sua ragione di essere, proprio in virtù dell’ormai conclusa esperienza della decolonizzazione. In particolare, la prassi degli Stati e della comunità internazionale nella fase Post Guerra Fredda sembra avere ridimensionato la portata e gli effetti del principio, da cui deriverebbe un diritto in capo ai popoli di emanciparsi da un’autorità di governo straniera, nemica o anche solamente considerata illegittima, per riaffermare in maniera netta l’esigenza del rispetto del principio di integrità territoriale degli Stati. La comunità internazionale, a partire dagli anni Novanta, ha mostrato unità di intenti nei contesti più diversi, dai Paesi Baschi alla Cecenia, passando per il Somaliland, nel riaffermare il principio di integrità territoriale degli Stati (si veda Crawford, J., State Practice and International Law in Relation to Secession, in Br. Yearb. Int. L., 1998, 85 ss.). Il principio di autodeterminazione è stato sempre più declinato nella sua accezione interna, cioè, come un diritto a ottenere dal governo dello Stato un trattamento rispettoso dell’identità culturale, linguistica e politica della popolazione.

L’individuazione di un punto di equilibrio cui sarebbe giunto il diritto internazionale, in una prospettiva di bilanciamento tra autodeterminazione dei popoli e diritto all’integrità territoriale degli Stati, è evidente nel parere sulla Secessione del Quebec emanato dalla Corte suprema canadese nel 1998 (C. supr. Can., 20.8.1998, Reference Re Secession of Quebec)Il Governo federale canadese aveva chiesto alla Corte suprema se, ai sensi del diritto internazionale, le istituzioni provinciali del Quebec godessero di un diritto a dichiarare e perfezionare la separazione della provincia francofona dalla federazione canadese. La Corte suprema stabilisce che il diritto all’autodeterminazione, nel diritto internazionale contemporaneo, avrebbe una prevalente declinazione “interna” e il diritto a separarsi dallo Stato sarebbe riconosciuto da una norma positiva di diritto internazionale, ove il popolo sia sottoposto a un dominio coloniale o straniero. La Corte suprema presenta anche una terza ipotesi, non realizzata nel caso di specie, di un diritto all’autodeterminazione “esterna” nei casi di violazioni sistematiche commesse dal governo dello Stato nei confronti dei diritti di una parte della popolazione; ma esprime dubbi sul fatto che il c.d. diritto alla secessione come “ultimo rimedio” sia già diventato parte del diritto internazionale positivo.

Come già notato, nel parere sul Kosovo, la Corte internazionale di giustizia non si è pronunciata sul diritto all’autodeterminazione della popolazione kosovara, come rimedio alle politiche di repressione portate avanti dal Governo di Belgrado durante gli anni Novanta. Tuttavia, dal procedimento consultivo, emerge che tra i più di 40 Stati che hanno partecipato al procedimento davanti alla Corte, 13 di questi hanno affermato il diritto alla secessione rimedio come fondamento giuridico delle pretese kosovare (si veda Pertile, M., Il parere sul Kosovo e l’autodeterminazione assente: quando la parsimonia non è una virtù, in Gradoni, L.-Milano, E., a cura di, Il parere della Corte internazionale di giustizia sulla dichiarazione di indipendenza del Kosovo: un’analisi critica, Padova, 2011, 89 ss.). Lo stesso Piano Ahtisaari, che nel 2007 aveva promosso la soluzione di un Kosovo indipendente sotto supervisione internazionale, prendeva atto del clima di ostilità e di sfiducia nei confronti del Governo di Belgrado in conseguenza delle repressioni dell’era Milosevic e, quindi, faceva propria la necessità di una separazione dalla Repubblica di Serbia (Comprehensive Proposal for the Kosovo Status Settlement, UN doc. S/2007/168/Add.1). Sebbene sia anche significativo (11) il numero degli Stati che, invece, hanno fermamente negato l’esistenza di un diritto all’autodeterminazione “post-coloniale” e sostenuto la prevalenza del diritto all’integrità territoriale, l’ingente mole di prassi e di espressione di opinio iuris motivata dall’indipendenza del Kosovo mostra come il punto di equilibrio individuato dalla Corte suprema canadese nel parere sul Quebec non sia affatto stabile. Peraltro, la stessa Corte internazionale di giustizia, in un passo del proprio parere, ha limitato l’ambito di applicazione soggettiva del principio di integrità territoriale, affermando che esso sarebbe “confinato” alle relazioni tra Stati e revocando, quindi, in dubbio che il diritto stesso al mantenimento dei confini internazionalmente riconosciuti possa essere opposto a gruppi non statali che ambiscano alla separazione (C.I.J.Unilateral Declaration of Independence of Kosovo, cit.).

Nonostante la prassi sia ancora limitata e nonostante la dottrina che sostiene l’autodeterminazione “esterna” come ultima ratio svolga, anche per la summenzionata limitatezza, le proprie argomentazioni utilizzando un approccio deduttivo, ancorato principalmente a una lettura a contrario delle simili clausole di salvaguardia dell’integrità territoriale degli Stati contenute nella Dichiarazione Finale della Conferenza di Helsinki del 1975 e nella Dichiarazione Finale della Conferenze di Vienna del 1993 (approccio deduttivo che “cozza” con la nozione di diritto consuetudinario che emerge dall’Art. 38, par. 1, lett. b) dello Statuto della Corte internazionale di giustizia), gli elementi sopra esposti, unitamente al caso della recente indipendenza del Sud Sudan, sembrano indicare uno stato del diritto internazionale sulla materia di nuovo “fluido”, in cui il diritto all’autodeterminazione potrebbe assumere nuove forme e esprimere le proprie potenzialità sul piano internazionale, in contesti differenti da quelli in cui era originariamente emerso. Il legame tra sovranità, territorialità e legittimità del governo, proiettato nell’emersione del principio di autodeterminazione dei popoli e già evidenziato, quasi un secolo fa, dalla Commissione internazionale di giuristi nel rapporto relativo alle Isole Aaland, non sembra potere essere reciso nel diritto internazionale, del XXI secolo, sempre più rispondente alle istanze degli individui e dei gruppi non statali.

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Un pensiero su “AUTODETERMINAZIONE…DIRITTO DI

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