IL CAPO CARISMATICO

RIFLESSIONI
(tratto da un testo di Francesco Alberoni)
Il capo carismatico
Ogni movimento esprime sempre dei capi che vengono riconosciuti dagli altri come gli unici a a guidare il movimento perché posseggono qualità straordinarie (carismi).
All’inizio il capo è solo uno dei tanti, poi diventa il primus inter pares, in seguito diventa il condottiero, la guida infallibile.
È stato Max Weber ad identificare il potere carismatico come una delle tre forme di potere legittimo (gli altri sono quello tradizionale e quello burocratico).
Di solito si afferma chi ha una idea vincente o quando dimostra una superiore capacità strategica e organizzativa.
Di qui un corollario importante: tutti i membri del gruppo allo stato nascente sono potenzialmente dei capi carismatici.
La speciale temperie emotiva, il senso di partecipare ad un grande compito di liberazione, l’esperienza fondamentale danno, anche a quelli che appaiono solo dei gregari, un impronta speciale, un carisma che si rivela quando agiscono nel mondo esterno.
Allora si comportano come dei capi carismatici, trascinano con se altra gente, creano altri gruppi, innescano altri processi di stato nascente.
No al mito del capo carismatico
Quando un capo si è affermato, quando ha sconfitto tutti i suoi avversari e messo in moto un grandioso processo di trasformazione, quando ha preso e consolidato il suo potere, chiunque egli sia stato, qualsiasi cosa abbia fatto, viene divinizzato.
Guardando i movimenti collettivi nel loro complesso vediamo che molti capi carismatici non sono dotati di qualità eccelse.
A volte sono degli agitatori particolarmente abili, a volte dei grandi oratori, a volte dei violenti, a volte dei temerari, a volte dei ciarlatani, a volte dei pazzi.
Oppure, preso il potere, si sono trasformati rapidamente in despoti e sono stati abbandonati dai seguaci.
Anche senza arrivare a questi estremi troviamo spesso capi che non sono all’altezza della situazione.
Vi sono però anche dei grandi capi carismatici che, nella loro vita sono riusciti a trasformare turbe sbandate in confraternite, partiti, eserciti organizzati.
Le istituzioni di dominio … no al fanatismo
Il movimento ha bisogno di una guida, di un capo.
Questo capo emerge dal calore bianco dell’entusiasmo dalla speranza di un rinnovamento radicale.
Talvolta è lui stesso che mette in moto il processo, di solito si fa strada nel fuoco delle agitazioni.
All’inizio comunque egli non si proclama capo, soprattutto nello stato nascente egli è solo il primus inter pares.
Col successo del movimento e trionfando sui suoi avversari a poco a poco viene riconosciuto da tutti e, poiché il movimento promette qualcosa di straordinario, egli stesso diventa straordinario: un capo carismatico.
Sul capo carismatico vengono proiettate tutte le qualità e tutte le virtù il “culto della personalità“ avviene spontaneamente, sono i seguaci stessi che innalzano il loro capo e lo adorano.
Il carisma però, ce lo ricorda Max Weber, è precario, si rafforza solo attraverso il successo, con la sconfitta può svanire.
E svanisce spontaneamente anche col passare del tempo perché nessun capo è in condizione di realizzare i sogni dorati dello stato nascente.
Compaiono critiche, invidie, concorrenti.
Per questo il capo carismatico, quando ha raggiunto i potere politico è portato a stabilizzarlo dichiarando che gli obbiettivi verranno realizzati e nel frattempo si libera di tutti gli avversari reali e potenziali.
Usando questo infernale meccanismo i capi della rivoluzione francese si sono sterminati l’uno dopo l’altro, lo stesso hanno fatto i capi della rivoluzione sovietica e quelli della rivoluzione cinese fino alla uccisione del membri della “banda dei Quattro“.
La divinizzazione del capo carismatico ha sempre, come corrispettivo, l’elaborazione paranoica di un nemico totale.
Il modo in cui il capo consolida il suo potere assoluto è l’asservimento morale.
E come la ottiene?
Chiedendo a ogni individuo di sacrificare proprio ciò che per lui è essenziale, di compiere un atto mostruoso, come denunciare o uccidere la moglie, un amico, il padre, il figlio. Facendo questo egli perde ogni capacità di giudizio morale.
Le cose non cambiano quando al posto di un unico capo carismatico c’è un gruppo una assemblea, un comitato di salute pubblica che impone la fraternità col terrore come nella rivoluzione francese.
È l’asservimento morale che porta alla formazione del fanatico.
Il fanatico non è semplicemente uno che crede fortemente.
E un individuo che è stato asservito moralmente.
Un individuo che ha accettato di compiere azioni in totale contrasto con i suoi convincimenti.
Il fanatico è uno che ha tradito, nella sua essenza, l’esperienza di liberazione, di fratellanza e di verità dello stato nascente.
Per questo ha perso la sua anima.
Può solo ubbidire e uccidere.
Le istituzioni di convivenza
Nelle fasi iniziale dei movimento gli individui sanno con chiarezza di essere portatori di diritti umani fondamentali e inalienabili.
Eppure pochi anni dopo la proclamazione dei diritti dell’uomo in Francia c’era il terrore e non uno solo di questi diritti veniva rispettato.
Eliminato un sovrano dispotico il movimento stesso e aveva eretto un sovrano collettivo – la Convenzione rivoluzionaria – ancora più dispotico e sanguinario.
Per evitare che nella situazione rivoluzionaria, nasca un nuovo più terribile dispotismo, bisogna che i rivoluzionari per prima cosa pongano dei limiti alla propria spontanea pressione verso l’unanimità che tende a generare una assemblea o un capo carismatico onnipotente che viola i diritti appena proclamati.
Questa è l’essenza delle istituzioni di convivenza.
Se il movimento non si auto impone un tale limite, genererà inevitabilmente un nuovo dispotismo.
La strada che allontana dalla democrazia
È solo ed esclusivamente nello stato nascente che esiste l’esperienza della coincidenza della volontà individuale autentica e della volontà generale e questa esperienza svanisce con esso.
Tutte le dottrine politiche, siano esse liberali, anarchiche, marxiste o islamiste, che promettono istituzioni capaci di conservare la coincidenza fra volontà individuale e volontà generale (profana o divina) producono totalitarismi.
La strada che conduce alla democrazia
All’estremo opposto del pensiero francese che ha il suo padre in Rousseau che vede emergere la costituzione dal contratto sociale creatore di una Volontà Generale senza limiti, la scuola inglese fa nascere lo Stato e la Costituzione solo dal freddo calcolo razionale.
Ciò che unisce gli uomini non è l’entusiasmo, la fede, il movimento, al contrario è la riflessione, il calcolo della propria convenienza.
Essendo intelligenti, capiscono che possono cedere il loro potere a qualcuno in cambio della vita e della sicurezza.
Avendo ceduto il loro potere in questo modo al Sovrano, sarà lui che li costringerà a vivere insieme in una armonia predisposta dalla legge.
Il sovrano non può mai e poi mai andare contro i diritti naturali inalienabili dei suoi sudditi. Se il sovrano attenta alla proprietà e alla libertà, i cittadini hanno il diritto di insorgere.
Con questo edificio di esemplare chiarezza e semplicità Locke ha fornito il modello dello Stato costituzionale moderno.
Politica sociale di solidarietà
“La trasformazione sociale non solidaristica… produce disordine e al di là di un certo grado di disordine la società cessa di funzionare in modo regolare…
Appaiono allora i movimenti, potenze che rompono l’ordine costituito, veri e propri vortici collettivi che dividono chi era unito e uniscono chi era diviso.
E così si ricreano altri gruppi, altri campi di gravità sociale, altri tipi di fiducia e di speranza, con nuove mete collettive” .
Alberoni spiega chiaramente, che tecnica ed economia, da sole non tengono insieme le società.
Occorrono le rose della solidarietà e il pane del buon governo.
In secondo luogo, perché, come fa capire l’autore, la politica, pur non potendo impedire in assoluto i movimenti, dal momento che le società sono entità in divenire, può prevenirli, e con intelligenza recepirne le istanze migliori.
L’ideale
Nel film La conquista del paradiso di Ridley Scott, Cristoforo Colombo vecchio, sconfitto, incontra il Tesoriere di Spagna che lo rimprovera di essere un sognatore , un idealista.
Allora il grande navigatore gli mostra la città, i palazzi, le guglie svettanti verso il cielo e gli domanda cosa vede “La civiltà“ risponde l’altro.”
“ Ebbene – conclude Colombo – tutto questo è stato creato da idealisti come me.”
In questi ultimi tempi ho incontrato molta gente pratica, ambiziosa, capace di astute operazioni finanziarie o di abili manovre politiche.
E, più di una volta, ho chiesto loro perché lo fanno, quale è il significato ultimo della loro azione.
Mi sono accorto che, di solito, non capiscono nemmeno la domanda.
Perché voglio diventare professore universitario?
Ma è ovvio, perché ci tengo, per realizzarmi, per sentirmi chiamare professore, per avere prestigio.
E per motivi analoghi voglio diventare senatore, presidente, rettore, sindaco, ministro.
Solo in pochissimi ho percepito che quella meta, quel titolo, era solo lo strumento per uno scopo più alto, per realizzare una finalità più importante, una missione, una vocazione, un sogno, una visione.
Coloro che sono mossi da un desiderio spasmodico di potere e sono pronti a tutto per ottenerlo, possono salire molto in alto.
Le persone che si muovono per amore della ricchezza e del prestigio personale possono raggiungere risultatati importanti.
Però solo chi è mosso da una visione può fare ciò che gli altri non riescono nemmeno pensare, nemmeno immaginare e che giudicano una follia o una sciocchezza.
Gli uomini e le donne che hanno questo tipo di visione, sono completamente diversi dagli ambiziosi che hanno bisogno di ricchezze e di onori per sentirsi qualcuno.
Sono diversi dai fanatici che vogliono imporre al mondo il loro credo o il loro regime politico con la violenza.
Essi non vogliono dominare, vogliono creare.
L’impulso a creare non appartiene alla dimensione del prendere, ma del dare, non a quella dell’egoismo, ma dell’altruismo.
E anche il potere, in questo caso, è solo uno strumento per poter dare.
Il creatore, il costruttore, chi ha un sogno, non dà comandi ed esige ubbidienza per il gusto di vedere gente inchinarsi davanti alla sua potenza, ma per edificare insieme qualcosa che riguarda loro come lui.
Egli perciò concepisce il comando come un appello e l’ubbidienza come un assenso.
Tutti i creatori sono, per natura, dei capi perché vogliono cambiare gli altri, portarli su nuove strade e far sbocciare possibilità che nessuno riesce ancora ad immaginare.
Perché vogliono costruire nuove istituzioni, nuovi mondi, dove la gente viva meglio, realizzarsi più pienamente.
E pensano sia naturale che gli altri dicano di sì, che si associno al loro progetto.
Per questo non esitano a svegliare gli increduli, a trascinare gli inerti, a convincere i prigionieri delle abitudini e degli interessi quotidiani.
Perciò è naturale che molti di costoro resistano, o non capiscano.
Per questo i creatori sono costretti ad avanzare fra incomprensioni ed ostacoli.
Finché non hanno vinto, finché non hanno dimostrato che si poteva fare l’impossibile, raggiungere l’irraggiungibile.
Facci sognare
Dal vero capo ci si aspetta che sappia dare un senso alla nostra azione.
Gli americani usano una espressione che avrete sentito più volte anche voi al cinema “facci sognare!” … il popolo più pragmatico della terra non chiede qualcosa di concreto … ma chiede invece proprio quanto di più impalpabile, di più irreale ci sia, un sogno.
Perché, in realtà, l’unica cosa che veramente conti, mobiliti, dia forza alla gente e la trascini è un sogno.
Ogni grande impresa é nata da una fede, da un sogno che ha dato a un uomo la forza di superare gli ostacoli, le incomprensioni le invidie che gli interessi costituiti e meschini creano sulla strada.
Il capo non è colui che ha la titolarità del comando, il capo è colui che crea.
Nessuno tiene insieme uno Stato, una impresa, nemmeno una famiglia se non affronta e risolve continuamente nuovi problemi, se non crea, non inventa.
La storia è piena di re fannulloni che passavano il tempo a caccia o in cerimonie mondane, mentre il governo era in mano a capaci ministri o, nel califfato islamico, ai gran visir.
Perfino nella più addormentata repubblica, dove i polittici passano il loro tempo a tessere intrighi e vendette reciproche, sorgono sempre grandi personalità solitarie che imprimono una svolta alla politica, oppure creano imprese, giornali, istituzioni, opere d’arte.
È a loro che guarda la gente, è grazie a loro che resta viva la fiducia e la speranza.
Indicare la meta
La realizzazione di una impresa dipende sempre dall’apporto e dal consenso di molte persone.
Uno degli errori più gravi che può compiere un leader, è di pensare di aver realizzato tutto da solo, chiudersi nella sua sicurezza e non ascoltare le voci che gli danno informazioni, suggerimenti, oppure che lo avvertono degli errori e dei pericoli.
Ma a questo pericolo ne corrisponde uno opposto, la dispersione delle mete e la mancanza di una leadership energica, efficace, lungimirante capace di tener ferma la meta e rifare continuamente la rotta.
Una qualità essenziale tanto nel mondo politico come in quello produttivo.
Il leader di un movimento, il leader carismatico è colui che riesce a indicare la meta tenendo presente le innumerevoli spinte che vengono dal basso.
Egli viene ubbidito perché gli altri lo ritengono “il più adatto” “colui che sa” .
Al di fuori dei movimenti, quando una formazione politica si costituisce attraverso la coalizione di soggetti politici indipendenti, invece il capo deve essere essenzialmente un mediatore capace di trovare il consenso, la strada che permetta a tutti di ricavare un qualche vantaggio.
Ma è un lavoro difficile e che facilmente fallisce o non consente di realizzare grandi obbiettivi.
La trama deve essere tessuta e ritessuta continuamente.
Ma anche all’interno delle organizzazioni sorgono continuamente divergenze.
Per porvi rimedio, alcuni seguono la strada di moltiplicare le regole, di rafforzare la struttura burocratica.
Ma è un gravissimo errore.
Più la struttura si irrigidisce, più ogni singolo ufficio si preoccupa di aumentare il suo raggio d’azione, ogni singolo funzionario lavora per accrescere il suo potere, e moltiplica le pratiche, i divieti, le regole inutili.
Studiando le grandi organizzazioni vediamo che, spesso, la gente che vi lavora ha perso completamente di vista il fine per cui sono state costituite.
Ciascuno fa valere solo l’interesse della sua categoria, del suo gruppo.
Per questo motivo, ad un certo punto, si sente il bisogno “dell’uomo forte”, di un capo che sappia imporre un unico punto di vista.
Di un capo che costringa tutti ad una ubbidienza cieca, pronta ed assoluta.
Se questo capo arriva, in un primo tempo, il metodo ha successo.
Tutti corrono, finiscono le discussioni, i ritardi e le inefficienze.
Però, dopo qualche tempo, il capo onnipotente, che crede di poter fare tutto da solo, finisce per restare isolato, per perdere i contatti con le persone concrete, con i loro problemi, le loro aspirazioni, le loro speranze.
Non sa più come motivarle.
E lo stesso capita in politica.
Alcuni grandi leader politici, con questo atteggiamento oppressivo, hanno finito per soffocare la creatività della società civile.
La vera funzione del capo, perciò, non è quello di fare tutto, di pensare a tutto, di controllare tutto, di sostituirsi a tutti.
La sua funzione non è di imporre in ogni campo la sua volontà, di dare ordini minuziosi su ogni argomento, sterilizzando o frustrando la creatività degli altri.
Il leader è, prima di tutto, il custode della meta, colui che ricorda ed indica a tutti dove si deve andare, e controlla che la rotta venga tenuta.
Egli deve trasmettere, ad ogni livello dell’organizzazione, il senso della missione, il significato del compito e il senso del dovere.
E, per farlo, deve crederci profondamente.
Nessuno convince gli altri se non é convinto lui stesso.
Nessuno trasmette modelli se non li pratica personalmente.
Se non dà l’ esempio.
È con la sua energia, con la sua fede, con il suo esempio, creando simpatia, fiducia, entusiasmo nei collaboratori, che li porta naturalmente a mettere a frutto tutte le loro energie e la loro intelligenza.
Che insegna loro a guidare, mobilitare dare l’esempio, a loro volta, i propri dipendenti. Cioè per diventare, essi stessi dei veri capi.
Creare una comunità morale
Una impresa raggiunge i suoi successi più strepitosi quando il gruppo dirigente è formato da persone che condividono gli stessi fini ed in cui ciascuno dimentica i propri interessi personali per darsi totalmente allo scopo comune.
Allora la sua personalità si dilata, la comprensione reciproca diventa fulminea, l’accordo diventa facile, spontaneo e nasce una forza, una creatività straordinaria.
È questo ciò che ogni leader, ogni imprenditore, ogni capo dovrebbe voler realizzare.
E, quando lo ha realizzato, dovrebbe coltivare, tenere vivo, proteggere, potenziare questo spirito, ed impedire che si accendano i processi negativi in cui ogni individuo antepone la sua personale meta individuale, il suo personale interesse alla meta collettiva.
Troppo spesso dimentichiamo che una impresa non è solo una entità economica, cementata da interessi, ma una comunità morale.
Quando si spezza la comunità morale, e il gruppo resta unito solo dalla ricerca del potere del guadagno, delle chiacchiere o, ancor peggio dalla ipocrisia e dalla paura, il suo destino è segnato: lentamente declina, sprofonda nella mediocrità, alla fine fallisce.
Troppo spesso dimentichiamo che oltre all’intelligenza, alla lungimiranza, oltre alla stessa genialità il grande leader deve avere realmente delle qualità morali, delle virtù.
Perché solo se le possiede in proprio potrà trasmetterle agli altri.
Sembra impossibile che la gente abbia dimenticato che uno Stato, un partito, una impresa ha realmente bisogno di moralità.
E che la moralità non è fatta di parole, ma di sentimenti sinceri e di comportamenti coerenti.
E che si insegna solo con l’esempio.
La parola virtù è oggi così poco usata che ci siamo perfino dimenticato il suo significato.
Una virtù è un insieme di qualità, profondamente interiorizzate che soddisfano simultaneamente tre requisiti.
  • Il primo è di realizzare ciò che riteniamo un valore, per cui ci sentiamo migliori.
  • Il secondo di ottenere risultati utili per noi o per la nostra comunità, cioè una utilità.
  • Il terzo terza di costituire un modello, un comportamento che vorremmo seguissero anche gli altri.
Solo quando sono presenti tutti e tre questi requisiti una virtù è completa.
Quali virtù allora?
  • sincerità contrapposta alla falsità, alla doppiezza, l’intrigo, la calunnia, l’ ipocrisia.
  • obbiettività: la capacità di valutare senza farsi influenzare dai pregiudizi e dalle maldicenze.
  • forza d’animo, che lo rende sereno e lucido anche nei momenti più difficili.
  • umiltà, che è la capacità di ascoltare gli altri e di ammettere e correggere i propri errori.*
  • coraggio, necessario per prendere decisioni difficili ed assumersene le responsabilità.
  • generosità che è la capacità di pensare agli altri, al loro benessere, di dedicarsi, di spendersi, dando l’esempio.
giustizia, l’arte difficile di scegliere veramente i capaci, gli onesti, i sinceri, e scacciare i disonesti, i falsi, i calunniatori, chi perseguita e prevarica gli innocenti

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