GIURISDIZIONE

L’attività dello Stato diretta all’attuazione della norma giuridica nel caso concreto, e l’insieme degli organi cui è demandata tale funzione.

Nell’età feudale si ebbe una moltiplicazione delle g., conseguente al dissolvimento dello Stato.

La qualità di magistrato e il diritto di g. erano uniti al possesso del feudo, e vi erano perciò tanti distretti di g. quanti i feudatari, coordinati gerarchicamente come questi ultimi.

La g. ordinaria feudale si distingueva in alta e bassa, secondo che avesse, o no, la potestas/potestas gladii.

L’imperatore era il giudice supremo in tutti i luoghi dove la sua autorità era riconosciuta.

Presiedeva personalmente, o per mezzo del conte di palazzo, il tribunale palatino, che funzionava nel luogo della sua abituale residenza.

Nei luoghi dai quali l’imperatore era assente esercitavano la sua g. i vicari imperiali.

Nell’età comunale la g. imperiale si ridusse in realtà in confini sempre più angusti, mentre i nuovi organismi politici, allargando o consolidando progressivamente la propria autonomia, esercitavano una g. sempre più ampia.

Gli Stati che si andavano a mano a mano formando, esercitarono l’attività giurisdizionale mediante organi di diverso nome, mentre il potere assoluto dei principi riusciva a sua volta a spegnere le autonomie comunali.

Ne sofferse anche la g. della Chiesa, alla quale è dovuto il più complesso sviluppo di istituti giurisdizionali durante il Medioevo.

Il quadro si semplificò dopo la Rivoluzione francese.

Esenzione degli Stati dalla g. interna

Il diritto internazionale impone a tutti gli Stati di astenersi dall’esercizio della propria giurisdizione nei confronti degli altri Stati.
Tale obbligo, di natura consuetudinaria e connaturato alla struttura paritaria della comunità internazionale, ha subito, nel suo contenuto, notevoli evoluzioni.

Fino alla metà del 19° sec. nel diritto internazionale era generalmente riconosciuto che uno Stato estero non potesse essere assoggettato ad atti di autorità da parte di un altro Stato in ragione dell’assenza di qualsiasi gerarchia tra Stati sovrani (parem in parem non habet iudicium).

Questa regola, della cosiddetta immunità assoluta dalla g. è stata revisionata dopo la Prima guerra mondiale, parallelamente all’ampliamento dell’attività economica degli Stati, impegnati sempre più di frequente in transazioni di carattere privatistico che nulla avevano in comune con l’esercizio del potere statale a tutela del quale l’immunità assoluta era stata concepita.

Sono state la giurisprudenza italiana e quella belga a dare inizio a un’inversione di tendenza che ha portato all’elaborazione della teoria dell’immunità ristretta o relativa.

Secondo questa teoria, oggi prevalente, l’esenzione degli Stati stranieri dalla g. è limitata ai soli atti compiuti dagli organi addetti alle relazioni interne o esterne nell’esercizio delle loro competenze o funzioni pubbliche (atti iure imperii).

L’immunità, che può essere sempre oggetto di rinuncia da parte dello Stato straniero, non si estende invece agli atti iure gestionis, cioè compiuti dagli Stati in condizioni di parità con i privati (come l’acquisto di un immobile o l’emissione di prestiti obbligazionari).

Alla stessa distinzione fa capo il regime dell’immunità da azioni esecutive dei beni di uno Stato straniero, nei cui confronti l’esecuzione forzata deve ritenersi ammissibile solo se esperita su beni non destinati a una pubblica funzione. Data la difficile applicabilità ai singoli casi concreti della distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis, si rimette alla discrezione del giudice interno valutare se, in caso di dubbio, debba concludersi a favore dell’immunità anziché a favore della sottoposizione dello Stato straniero alla giurisdizione. Tuttavia, la tendenza della giurisprudenza interna è incline a individuare la regola nell’immunità e l’eccezione nell’esercizio della giurisdizione. A questa prassi si adeguano anche le convenzioni internazionali adottate in materia, allo scopo di creare una disciplina comune per gli Stati contraenti.

A parte alcune convenzioni aventi per oggetto settori particolari (come l’immunità delle navi di Stato e delle navi da guerra, o degli aeromobili adibiti a servizi di Stato), il primo strumento internazionale di carattere generale adottato nella materia è la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla immunità degli Stati del 1972, entrata in vigore nel 1976.

Ispirandosi alla concezione restrittiva dell’immunità, tale convenzione stabilisce la regola dell’immunità, indicando in via di eccezione i casi in cui una parte non può invocarla.

Ciò si verifica quando la parte in questione accetta, espressamente o con comportamenti concludenti, la g. del tribunale di un’altra parte o in caso di procedimenti relativi a situazioni che si collegano alla attività iure gestionis dello Stato, come controversie in materia di lavoro, contratti commerciali, partecipazione a società o attività industriali, proprietà e altri diritti reali, proprietà intellettuale, riparazione di un danno morale o materiale.

Al livello universale, la Convenzione dell’ONU sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, adottata nel 2004 e non ancora in vigore, segue il modello della Convenzione europea, afferma il principio dell’immunità, con una serie di eccezioni analoghe a quelle sopra indicate.

Innovativa è la prassi giurisprudenziale manifestatasi recentemente in diversi paesi – e che in Italia ha avuto origine dalla sentenza della Corte di cassazione n. 5004 del 2004 nel caso Ferrini – tendente ad affermare, in deroga al principio dell’esenzione, la competenza dei tribunali interni a pronunciarsi su reclami presentati contro uno Stato estero dalle vittime di crimini internazionali.

La g. ecclesiastica

Il Codex iuris canonici non ne fornisce una definizione. Tenendo però conto dei suoi elementi essenziali, essa può essere definita come la pubblica potestà, conferita da Cristo alla Chiesa, di reggere e organizzare pastoralmente il popolo di Dio, per il conseguimento dei fini che gli sono propri e del fine supremo che è la vita eterna. La potestà di governo (potestas regiminis) è detta anche potestà di g. (potestas iurisdictionis).

La potestà di governo sussiste nella Chiesa per istituzione divina. In quanto è indipendente nella sua esistenza e nella sua attività da qualsiasi autorità umana (can. 747, par. 1, e 1254, par. 1), la Chiesa possiede non solo il potere di ordine, ossia il potere di compiere e amministrare le cose sacre, ma anche quello di g. o di governo, ossia il potere di reggere e guidare socialmente i fedeli, nella sua triplice funzione legislativa, giudiziaria e amministrativa o esecutiva, cui si unisce anche il potere dottrinale o di magistero.

In diritto canonico si parla anche di g. in un senso più stretto e più affine a quello dato alla locuzione dal diritto laico: in questo senso g. è il potere di esaminare una controversia e di definirla con l’emanazione di una sentenza. Vi sono materie che la Chiesa rivendica alla propria g. esclusiva (per es., dichiarazioni di nullità del matrimonio), altre sulle quali la Chiesa ammette la concorrenza della propria g. con quella dello Stato (per es., testamento con la fondazione/”>fondazione di un legato pio), altre infine circa le quali la Chiesa riconosce la g. statale. Invece è vivamente controverso, sulla base degli art. 23 del Trattato dei Patti Lateranensi e 8 dell’Accordo di revisione del Concordato, se lo Stato riconosca la g. ecclesiastica.

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