Autore: sergio

PERCHÈ UNA PERSONA DOVREBBE AUTODETERMINARSI CON IL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE NAZIONALE?

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Perché è l’unico soggetto previsto dalle norme del Diritto Internazionale deputato a rivendicare il diritto di autodeterminazione di un Popolo.

Infatti, il Diritto Internazionale riconosce il diritto di autodeterminazione solo ai Popoli piegati da una delle tre condizioni previste:

  1. stato occupante
  2. regime razzista
  3. regime colonialista.

Il Diritto Internazionale riconosce solo il “rapporto fra Stati” e non si riferisce all’autodeterminazione come diritto del singolo individuo.

I Movimenti di Liberazione Nazionale, secondo le norme del Diritto Internazionale stesso, agiscono al pari di uno Stato proprio in virtù delle finalità per cui si è costituito ed è questa una conseguenza del fatto che tali Movimenti sono degli Enti autonomi e indipendenti a livello internazionale.

Il Movimento di Liberazione Nazionale è un soggetto di diritto internazionale, destinatario delle norme sulla protezione e immunità degli individui che agiscono in nome e per conto loro.

È questa una conseguenza del fatto che tali Movimenti sono degli Enti autonomi e indipendenti a livello internazionale.

Gli stati stranieri che occupano e opprimono i Popoli sono obbligati a consentire l’esercizio del diritto all’autodeterminazione, in particolare, a non impedire l’esercizio di questo diritto con mezzi coercitivi.

Il Popolo Veneto, in questo caso, vanta un vero e proprio diritto nei confronti dell’italia oltre a una serie di diritti e pretese nei riguardi degli Stati terzi che sono legittimati a sostenere il Popolo Veneto, fornendo loro ogni forma di assistenza diversa dall’invio di truppe armate.

Nel settore dell’uso della forza l’affermazione del principio di autodeterminazione ha una duplice conseguenza:

  • Ha ampliato la portata del divieto di cui all’art.2 par.4 della Carta delle Nazioni Unite, proibendo agli stati di ricorrere alla minaccia o all’uso della forza contro i Popoli che invocano il diritto all’autodeterminazione.
  • I Movimenti di Liberazione Nazionale in lotta per il diritto di autodeterminazione hanno il diritto di ricorrere alla forza per reagire contro lo stato che impedisce con la forza tale diritto.

Il principio di autodeterminazione ha avuto anche una grande incidenza su uno dei settori più tradizionali del diritto internazionale, quello concernente l’acquisizione, il trasferimento e la perdita dei titoli di sovranità su  un territorio, mettendo in discussione la conquista coloniale.

Il diritto di autodeterminazione dei Popoli ha valore “ius cogens” che nel diritto internazionale, indica norme di carattere imperativo (ossia cogenti, inderogabili).
Oltre al diritto all’autodeterminazione dei popoli, vi rientrano il divieto di aggressione e le forme più gravi di violazione di diritti umani fondamentali (genocidio e democidio, schiavitù, tortura, apartheid).

Come tutto il diritto internazionale, il principio di autodeterminazione è stato anche ratificato dallo stato italiano con la legge nr.881/1977.

Nell’ordinamento italiano il principio vale come legge dello Stato che prevale sul diritto interno (Cass. pen. 21-3 1975).

Il Diritto Internazionale afferma altresì che finché perdura la “Guerra di Liberazione Nazionale”, (ovvero il periodo che noi chiamiamo di Transizione) i Movimenti di Liberazione Nazionale non hanno il diritto di disporre del territorio oggetto di contesa o delle sue risorse naturali.

In ogni caso, durante questo periodo, tale diritto non spetta neppure allo stato occupante, così come precisato dal Tribunale arbitrale nella sentenza del 31 luglio 1989 che dispone che il governo dello stato occupante non può stipulare accordi internazionali relativo al Territorio su cui è stanziato il Popolo in lotta per l’autodeterminazione.

Tutte le sedi istituzionali italiane sono abusivamente stanziate sui nostri territori e anche la presenza dell’Eurogendfor, con una caserma a lei destinata a Vicenza, è illegale.

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COS’È UN MOVIMENTO DI LIBERAZIONE NAZIONALE ?

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L’emergere di “gruppi organizzati in lotta” in nome di un intero Popolo, per realizzare il principio di autodeterminazione dei Popoli e in particolare per liberare il Popolo dal giogo coloniale, sono comunemente denominati “Movimenti di Liberazione Nazionale”.

Non bisogna confondere i Movimenti di Liberazione Nazionale con i partiti insurrezionali che, come avvenuto in italia, hanno costituito il Comitato di Liberazione Nazionale, quale coalizione di partiti per la liberazione dal fascismo.

Il tratto caratteristico dei Movimenti di Liberazione Nazionale è la circostanza che la loro lotta, è legittimata dal diritto internazionale giacché essa mira alla realizzazione del “principio di autodeterminazione dei Popoli”.

Il diritto internazionale promuove la formazione di entità internazionali basate sulle libere aspirazioni della Popolazione, mettendo fine agli imperi multinazionali e ai regimi coloniali.

I Movimenti di Liberazione Nazionale sono legittimati ad agire in nome di un intero Popolo e questo principio è fermamente radicato nel sistema normativo internazionale specificatamente in tre aree:

  • Come postulato anticoloniale;
  • Contro il divieto all’instaurazione e mantenimento di regimi di occupazione straniera, quindi colonialisti;
  • Contro il divieto all’instaurazione e mantenimento di regimi razzisti,

Il diritto all’autodeterminazione, nella sua eccezione esterna, spetta ancor più ai Popoli sottoposti a regime militare straniero, se essi precedentemente facevano parte di uno Stato indipendente o comunque possiedono uno “status” distinto da quella dello stato occupante … in questo caso il Popolo Veneto ha uno status differenziato da quello italiano e la Venetia è una Repubblica, tutt’ora esistente e con più di mille anni di storia.

Il diritto di autodeterminazione dei Popoli ha valore “ius cogens” che nel diritto internazionale, significa norme di carattere imperativo (ossia cogenti, inderogabili).
Il Movimento di Liberazione Nazionale è un soggetto di diritto internazionale, destinatario delle norme sulla protezione e immunità degli individui che agiscono in nome e per conto loro.

È questa una conseguenza del fatto che tali Movimenti sono degli Enti autonomi e indipendenti a livello internazione.

A differenza per quanto accade per gli insorti, il controllo effettivo di parte del territorio non è, per i Movimenti di Liberazione Nazionale, una condizione essenziale per l’acquisizione della soggettività internazionale.

In sostanza, i Movimenti di Liberazione Nazionale hanno uno status giuridico internazionale rilevante, in ragione degli scopi politici da essi perseguiti e cioè la lotta per liberarsi dalla dominazione di uno stato straniero, da un regime razzista o da un regime colonialista.

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DDF – SEZ.02 – ART.02 – LA COMUNITA’ DI CONVIVENZA

  1. La Comunità di Convivenza è costituita da almeno due individui, che mutuamente compartecipano alla vita di ciascuno l’uno/a dell’altro/a, secondo i comuni espressi interessi.
  2. I componenti della Comunità di Convivenza, non devono essere significativamente legati da sentimenti, ma da valori e interessi comuni, per il cui perseguimento si renda necessaria la condivisione della medesima realtà abitativa.

DDF – SEZ.02 – ART.01 – LA CONVIVENZA

  1. Qual’ora più soggetti decidano di condividere spazi abitativi comuni, per necessità dettate da valori e interessi comuni, si costituiscono in Comunità di Convivenza, vincolate dalla “Carta di Comunità di Convivenza”  dove sono indicati i diritti e i doveri di ciascuno dei membri della Comunità nonchè dalla coabitazione in comune dimora.
  2. Qual’ora due o più soggetti non ancora emancipati, decidano di stabilire una convivenza, per il suo attuarsi è necessario il consenso e il benestare delle rispettive famiglie d’origine, nonchè dalla coabitazione in comune dimora..
  3. Qualsiasi Convivenza determinata da condizioni temporanee si costituisce in via provvisoria e se superiore ai trenta giorni, deve essere comunicata alle Autorità Anagrafica del Distretto ove avviene la coabitazione.

DDF – SEZ.01 – ART.03 – LA FAMIGLIA PRIMARIA (FAMPRI)

  1. La Famiglia è Primaria (FAMPRI) per gli individui che mutuamente hanno deciso di costituirsi in tal senso.
  2. La Famiglia Primaria (FAMPRI) può costituirsi attraverso il mutuo consenso di soggetti emancipati.
  3. Qual’ora due soggetti non ancora emancipati, decidano di costituirsi come famiglia primaria (FAMPRI), per il suo concretarsi è necessario il consenso e il benestare di entrambe le famiglie originarie nonchè di una comune dimora abitativa.

 

DDF – SEZ.01 – ART.01 – LA FAMIGLIA quale Nucleo Sociale Primario

  1. La Famiglia è il nucleo sociale primario, costituito da almeno due individui, che mutuamente compartecipano alla vita di ciascuno l’uno/a dell’altra/o, manifestando la compattezza e solidità giuridica prevista dalla “Carta della Famiglia Autodeterminata”.
  2. I componenti della Famiglia, sono significativamente legati da sentimenti, valori, vincoli di parentela e interessi comuni, nonché dalla condivisione della medesima abitazione e una compartecipata condivisione dei beni secondo quanto dettato dalla “Carta della Famiglia Autodeterminata”.
  3. Considerato che ogni persona umana è ciò che è, vale a dire espressione della propria personalità derivante dalla propria originale individualità e come tale titolare di una propria identità, la Famiglia deve concorrere al naturale compimento di tali peculiarità di ciascuno dei propri membri, originari e acquisiti.
  4. La “Carta della Famiglia Autodeterminata” è il patto siglato scritto e celebrato pubblicamente fra soggetti originari la famiglia stessa.
  5. Nella “Carta della Famiglia Autodeterminata” sono indicati i diritti e i doveri di ciascuno dei propri membri.

PACTA SUNT SERVANDA – RISPETTO DEI TRATTATI

Pacta sunt servanda esprime un principio fondamentale e universalmente riconosciuto del diritto internazionale generale, ovverosia il diritto che si applica a tutti gli Stati e sul quale si basano le relazioni internazionali tra gli Stati: i patti, i trattati, le intese o più in generale gli accordi degli Stati vanno rispettati.
L’art. 26 della Convenzione sul diritto dei trattati (Vienna, 23 maggio 1969) è rubricata pacta sunt servanda e afferma: «Ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere da esse eseguito in buona fede».
L’art. 10 comma 1 della Costituzione italiana stabilisce che “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute.”
Tale norma si riferisce appunto alle consuetudini internazionali (assieme ad altre controverse fonti generali internazionali) sancendo l’obbligatorietà all’interno dell’ordinamento giuridico italiano di queste ultime.
Poiché “pacta sunt servanda” è appunto una consuetudine internazionale e come tale vincolante tutti gli stati (per l’Italia in virtù dell’art. 10), autorevole dottrina (Rolando Quadri) è giunta a sostenere che anche ai patti debba conformarsi l’ordinamento giuridico italiano in ossequio al principio previsto dall’art. 10.
Se un patto non venisse rispettato dall’Italia, si violerebbe non già lo stesso patto ma al contempo una norma di rango costituzionale.
Tuttavia a parte il riconoscimento di una impeccabile argomentazione logica, non si può, secondo altra parte della dottrina (Conforti), accettare una simile teoria in quanto la volontà del costituente nel redigere l’art. 10 è messa in luce dai lavori preparatori; né potrebbe ipotizzarsi l’assurgere di un trattato internazionale a rango di norma costituzionale.
Visto il proliferare degli accordi nei più disparati settori, si rischierebbe, accettando la visione del Quadri, di aggirare importanti garanzie costituzionali mediante la stipula di trattati.
Discorso diverso può farsi per altri ordinamenti, quali ad esempio gli Stati Uniti d’America o la Francia nelle cui rispettive costituzioni è espressamente previsto l’adattamento ai trattati.

ART. 51 – CARTA DELLE NAZIONI UNITE

Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.

Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.


Legittima difesa. Diritto internazionale
Nel diritto internazionale, la legittima difesa – quale diritto di uno Stato di opporre una reazione armata, anche con l’assistenza di Stati terzi, a difesa della propria integrità territoriale e indipendenza politica – è contemplata da una norma consuetudinaria che trova conferma nell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite. La legittima difesa si configura, infatti, come un’eccezione al divieto dell’uso della forza previsto nell’art. 2, par. 4, della Carta (Uso della forza. Diritto internazionale).
L’art. 51 citato ribadisce il «diritto naturale» alla legittima difesa individuale o collettiva, nel caso in cui si verifichi un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionali. Le misure adottate dagli Stati membri nell’esercizio della legittima difesa devono essere immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di sicurezza e possono essere mantenute soltanto finché il Consiglio non prenda le decisioni necessarie per ristabilire la pace.


Condizioni per l’esercizio della legittima difesa.
La legittima difesa può esercitarsi solo in caso di attacco armato in atto, sferrato da forze regolari attraverso una frontiera internazionale o attraverso l’invio di bande armate sul territorio di un altro Stato, quando tale operazione, per la sua ampiezza, configuri un’aggressione armata (Aggressione. Diritto internazionale).
L’azione militare deve inoltre rispettare i parametri della necessità e della proporzionalità.
L’art. 51 della Carta dell’ONU e la corrispondente norma di diritto consuetudinario vietano pertanto un’occupazione militare prolungata e l’annessione del territorio dello Stato autore dell’attacco.


La legittima difesa ‘preventiva’.
La nozione di legittima difesa è stata a volte interpretata in modo estensivo, facendovi rientrare anche azioni armate dirette a respingere un attacco militare certo e imminente, ma non ancora sferrato (cosiddetta legittima difesa preventiva).
Secondo gli Stati che l’hanno proposta (Stati Uniti e Israele, in diverse occasioni), tale accezione estesa è ammessa nel diritto internazionale generale, come ritiene anche una parte della dottrina.
Sono invece da considerarsi privi di fondamento nel diritto internazionale ulteriori ampliamenti della nozione, collegati alla lotta contro il terrorismo e finalizzati a legittimare azioni armate condotte contro entità non statali (come Al Qaida o altre organizzazioni terroristiche) anche in territorio estero e senza il previo consenso del sovrano territoriale (cosiddetta ‘azione preventiva’).


Voci correlate
Autotutela. Diritto internazionale
Uso della forza. Diritto internazionale

ART. 2 PARAGRAFO 4 DELLA CARTA DELLE NAZIONI UNITE

Nel settore dell’uso della forza, l’affermazione del principio di autodeterminazione ha avuto una duplice conseguenza.
Da un lato,  esso ha ampliato la portata de divieto di cui all’art.2 pag. 4, della Carta delle Nazioni Unite, proibendo agli Stati di ricorerre alla minaccia, o all’uso della forza contro il Popoli che invocano il diritto di autodeterminazione.
Dall’altra parte, i Movimenti di Liberazione in lotta per l’autodeterminazione hanno il diritto di ricorrere alla forza per reagire contro lo Stato che impedisce con la forza l’esercizio del diritto di autodeterminazione.

commenti:
Anche allo stato italiano è fatto divieto, quindi proibito, di ricorrere all’uso della forza contro i Popoli che invocano il diritto di autodeterminazione.
L’art.2 pag. 4 della Carta delle Nazioni Unite precisa altresì che gli stati, quindi compreso quello italiano, non può ricorrere neppure alla minaccia, ovvero all’intimidazione contro i Popoli che invocano il diritto di autodeterminazione.
Per intimidazione e minaccia deve intendersi anche la provocazione, quale sfida o istigazione da parte dello stato occupante nei confronti dei Popoli che invocano il diritto di autodeterminazione.
Lo stato italiano sfida ogni giorno il Popolo Veneto e calpesta deliberatamente i suoi diritti previsti per legge.
La sua è una sfida intenzionale.
L’intimidazione è destinata a trascinarci tutti in un forzato confronto con le sue istituzioni che agiscono illegalmente sui nostri territori.
Come quasi tutti i tiranni, anche lo stato italiano, ha necessità di “giustificare” il proprio operato ma, essendo una “falsa democrazia”, lo deve fare con il pretesto dell’ordine pubblico o magari anche del terrorismo.
Il Popolo Veneto va quindi piegato dalla paura, dal timore di una aggressiva, folle e illegittima reazione da parte dello stato occupante.
Per lo stato italiano il Popolo Veneto non esiste (come se bastasse una sentenza della loro corte costituzionale a cancellare ciò che siamo).
Questa è una incontrovertibile offesa ed è nostro diritto che lo stato italiano si scusi con il Popolo Veneto per tanta arrogante e oltraggiosa insolenza.
Ma perché tanta imprudenza?
Ci hanno abituati che ad ogni azione corrisponde una reazione.
Ciò nonostante, per ogni dispotismo il presupposto di ogni repressione è fondato sul principio che non può esserci confronto se non ci sono gli “sfidanti”.
Il sistema è sempre lo stesso.
Lo stato dominante ha bisogno di trascinare il “confronto” (che tale non è) sul piano della forza perché è quello a cui sono abituati, dove si sentono più forti e possono pretestuosamente “sopprimere” gli avversari e calpestare i loro ideali.
Ma se i nemici non ci sono come potrebbe giustificare tanta veemenza?
Ricordate il caso “Polisia Veneta”???
Ecco un tangibile esempio di tale strategia.
Pur sapendo di mentire, polizia e magistratura, con la complicità di taluni italianissimi mezzi di informazione mediatica, hanno presentato questo Movimento di Liberazione Nazionale come un accozzaglia di sprovveduti, di malviventi, armati e pronti alla guerra.
Una indegna, impunita e ipocrita commedia.
Ma si sa che lo stato italiano è fondato sulla frode fin dal suo inizio ed è abituato a sopprimere con violenza chi vi si oppone … è una ineluttabile dinamica perché nell’esercizio di una forza sono sempre coinvolti due rivali.
E’ in questa dualità che si confrontano il bene e il male, il giusto e il malavitoso, la democrazia e la tirannia.
Questo è il percorso del MLNV, che scioglie i nodi con il sistema e non accetta compromessi o “allettanti scorciatoie”.
Non sono solo i soldi a nuocere, ma anche l’ambizione del potere.
Il ripristino di una Nazione è spesso giocata sul tavolo di avvoltoi e imbonitori, con interessi inimmaginabili.
Un Popolo, rimane spesso il protagonista assente del proprio destino.
WSM
Venetia, giovedì 1 novembre 2018
Sergio Bortotto
Presidente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio.

L’uso della forza nel panorama del diritto internazionale è, molto probabilmente, uno degli argomenti più interessanti, controversi e criticabili su cui soffermarsi. Nel Preambolo della Carta dell’Onu si legge “noi popoli delle Nazioni Unite (siamo) decisi a salvare le generazioni future da ulteriori guerre“; nel mondo, però, dal 1945, anno di ratifica della Carta, ci sono stati più di 100 conflitti armati, con più di 20 milioni di vittime. Se da una parte la Carta, dunque, vieta la minaccia e l’uso della forza (art.2 par.4), dall’altra ci sono delle eccezioni in cui si può ricorrere ad essa: la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato e il sistema di sicurezza collettiva ad opera del Consiglio di Sicurezza, a riguardo il capitolo VII della stessa.

È interessante, dunque, l’analisi di questo meccanismo e i chiari riferimenti presenti nello Statuto dell’Organizzazione.

All’art.2(4) si legge “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.

Non rispettare questo articolo comporterebbe una violazione del diritto internazionale, quanto più grave se si pensa che disattendere il divieto dell’uso della forza può essere annoverato anche come una violazione stessa di diritto consuetudinario, come ha riconosciuto la Corte Internazionale di Giustizia nella celebre sentenza del 1986 relativa ad uno dei casi più importanti del diritto internazionale dal dopoguerra, ossia Nicaragua vs Stati Uniti.

Dal canto suo la Commissione del Diritto Internazionale ha espresso la sua visione a riguardo, affermando che le disposizioni della Carta riguardanti il divieto dell’uso della forza costituiscono un esempio cospicuo di una regola di diritto internazionale avente il carattere di jus cogens. Questa analisi aggraverebbe ulteriormente un comportamento di tal genere.

Che cosa si intende, però, per uso della forza? Leggendo la Carta si può notare che la parola “guerra” non è mai menzionata, ma è usato il sostantivo “forza”, insieme all’espressione “misure coercitive”; tradizionalmente, la guerra è la forma più grave di “forza” ma non l’unica. Per prima cosa, con l’espressione “forza” si fa riferimento alla “forza armata” ma ciò non esclude che anche altri tipi di forze come quella economica e politica non rientrino in questa categoria.

L’organo che ha la responsabilità primaria di mantenere la pace e la sicurezza internazionale è il Consiglio di Sicurezza, come sancito dall’art. 24 della Carta. Nel capitolo VII dello Statuto, all’art. 39 si legge: “Il Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazione o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.

Dunque qualsiasi decisione riguardante la minaccia o la violazione della pace deve passare sotto l’analisi del Consiglio di Sicurezza.

I casi eccezionali: Autodifesa

Come già accennato precedentemente, la Carta sancisce due situazioni nelle quali il divieto non si applica. Da una parte, le misure coercitive possono essere prese o autorizzate dal Consiglio di Sicurezza, secondo quanto stabilito dal Capitolo VII; dall’altra, la forza può essere utilizzata qualora venga esercitato il diritto di autodifesa collettiva od individuale, come riconosciuto dall’art.51.

Il principio di autodifesa è da annoverare tra i “diritti innati” di tutti gli statima se da una parte il diritto di proteggere sé stessi da un attacco esterno è indiscutibile ed è alla base dell’istinto umano di sopravvivenza, dall’altra la sua definizione giuridica e ambito di applicazione è stato oggetto di diverse discussioni e controversie. Secondo quanto stabilito dall’art. 51 si comprendono tre caratteristiche e comportamenti che devono essere seguiti. Per prima cosa, esso si applica solo “contro un attacco armato”; in secondo luogo, gli Stati hanno il dovere di riportare al Consiglio di Sicurezza l’esercizio del diritto di autodifesa. In ultimo, questo diritto deve essere sospeso non appena il Consiglio di Sicurezza prenda le misure, ritenute necessarie, atte a mantenere e restaurare la pace e la sicurezza internazionale. A riguardo, bisogna menzionare i tre elementi alla base della possibilità di uso della forza nel caso di autodifesa, che non sono espliciti nella Carta ma fanno parte del diritto internazionale consuetudinario: necessità, proporzione e immediatezza. Per quanto riguarda il primo elemento, nonostante non sia esplicitamente scritto, può essere dedotto dall’articolo stesso, nel quale viene stabilito che lo stato può intervenire fin quando il Consiglio non abbia adottato le misure necessarie per ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Dunque, gli Stati possono ricorrere alla forza perché è l’unica opzione per riportare la pace. Relativamente alla seconda condizione, la proporzionalità, si intende che la difesa condotta dallo Stato non deve superare l’offesa sofferta. Venga preso come esempio di non proporzionalità l’attacco di Israele contro il Libano nel 2006, in risposta ad un’offensiva di Hezbollah. Molti stati hanno condannato Israele perché il suo attacco armato era esagerato rispetto a quello subito. Infine, con il concetto di immediatezza si intende che l’azione debba essere realizzata in tempi ragionevolmente veloci, nel senso che non deve essere temporalmente e finalisticamente distante dall’attacco subito, perché non si parlerebbe di autodifesa ma quasi, piuttosto, di un nuovo attacco armato.

Per quanto riguarda l’esercizio del diritto di autodifesa esistono due scuole di pensiero: da una parte troviamo un’interpretazione più ampia, supportata soprattutto da Stati Uniti, Israele e Gran Bretagna, dall’altra un’interpretazione più ristretta secondo cui un attacco può essere definito “armato” solo quando vi è un esercito regolare di uno Stato in territorio, terrestre, aereo o di mare, di un altro. Secondo questa interpretazione è necessario che l’attacco sia stato commesso prima di invocare il diritto dell’uso della forza in nome dell’autodifesa. L’interpretazione più estesa ha, invece, una tradizione più antica, legata al diritto internazionale consuetudinario in forza prima della ratifica della Carta ONU. I sostenitori di questa visione ritengono che l’autodifesa possa essere invocata sia in caso di autodifesa “preventiva” sia in caso di protezione di nazionali all’estero.

Un’altra importante questione che si presenta e a cui è interessante fare riferimento riguarda il dibattito relativo alla classificazione degli attacchi terroristici come conflitti armati o meno e alla possibilità in tal caso di invocare l’autodifesa. L’argomento è diventato, ovviamente, sempre più oggetto di discussione e di interesse all’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre. Con le risoluzioni 1368 e 1373, il Consiglio di Sicurezza ha stabilito che gli attacchi terroristici non sono da considerare “attacchi armati” ma piuttosto minaccia alla pace. Allo stesso tempo, concedendo il diritto innato di autodifesa in accordo con la Carta, sono stati riconosciuti indirettamente come attacchi armati, anche se questi dovrebbero essere caratterizzati da un significativo livello di coinvolgimento del governo e in casi di terrorismo spesso non vi è coinvolgimento di alcuno stato.

Capitolo VII della Carta

A questo punto l’attenzione va spostata sul secondo caso eccezionale: un ordine o, meglio dire, un’autorizzazione di uso della forza secondo l’art. 42, qualora una minaccia, una violazione alla pace o un atto di aggressione si siano verificate. La Carta prevedeva, inizialmente, un meccanismo di azioni per il mantenimento o il ristabilimento della pace portate avanti direttamente dal Consiglio di Sicurezza con forze militari messe a disposizione da parte degli Stati membri, sulla base di accordi che si sarebbero dovuti stipulare in base all’art. 43. Dal momento che questi accordi non sono stati stipulati, il meccanismo ha funzionato ricorrendo ad azioni degli Stati autorizzate dal Consiglio di Sicurezza o con azioni più limitate decise dal Consiglio e gestite dal Segretario Generale secondo le direttive del Consiglio stesso. In questo secondo caso si fa riferimento alle cosiddette operazioni di peace keeping, o di mantenimento della pace. Inizialmente caratterizzate da invio di osservatori e corpi militari, nel corso degli anni novanta, hanno incarnato le forme più importanti e criticabili.

All’indomani della fine della Guerra Fredda, periodo durante il quale il Consiglio di Sicurezza si trovava bloccato dal veto di uno o di più Membri Permanenti, dovuto all’opposizione tra USA e URSS, esso ha utilizzato questo suo potere in numerose occasioni, adottando risoluzioni di autorizzazione. Si possono citare la Somalia, Timor Est e l’Afghanistan.

Seppur più volte oltrepassato, nei limiti sanciti dalla Carta, o anche superando ciò che la Carta permetteva, il divieto di uso della forza non si è mai dissolto e anzi è considerato uno dei principi alla base della cooperazione tra gli Stati ed è mosso, almeno in teoria, dalla necessità di promuovere il rispetto per i diritti umani e la democrazia.

Fonti e Approfondimenti:

Carta delle Nazioni Unite (San Francisco, 26 giugno 1945), https://www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/20012770/200609120000/0.120.pdf

UNSC res. 1368 (2001), http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/RES/1368(2001)

UNSC res. 1373 (2001), http://www.un.org/en/sc/ctc/specialmeetings/2012/docs/United%20Nations%20Security%20Council%20Resolution%201373%20(2001).pdf

– DAVID Kretzmer, The Inherent Right to Self-Defence and Proportionality in Jus Ad Bellum, http://www.ejil.org/pdfs/24/1/2380.pdf

LORENZO Trombetta, ‘La Siria, Hezbollah e quei razzi d’avvertimento su Israele’ (2011) LIMES, http://www.limesonline.com/rubrica/la-siria-hezbollah-e-quei-razzi-davvertimento-su-israele

Max Planck Institute for comparative public law and international law, http://www.mpil.de/en/pub/publications/archive/wcd.cfm?fuseaction_wcd=aktdat&aktdat=106010000100.cfm

MICHEAL Wood, International Law and the use of force: what happens in practice?, in Indian Journal of International Law, 2013, http://legal.un.org/avl/pdf/ls/Wood_article.pdf

http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20060811163811

NICHOLAS Rostow, International Law and the Use of Force: A Plea for Realism, 34 Yale J. Int’l L. (2009). Available at: http://digitalcommons.law.yale.edu/yjil/vol34/iss2/13

https://www.peacepalacelibrary.nl/research-guides/war-and-peace/use-of-force/