GLOSSARIO

CREDITI SOCIALI

Il credito sociale è una rendita mensile non cumulabile a limitata spendibilità.
L’avente diritto può usufruire di tale rendita per il pagamento di prescritti beni e servizi nell’ambito del territorio nazionale.
L’utilizzo dei crediti sociali sarà usufruibile solo attraverso il proprio codice unico perché accreditati ed estinguibili mensilmente sul c/c personale della Cassa Nazionale.
Vedi anche REDDITO DI CITTADINANZA

LE CONTEE O STATI FEDERATI

Le Nazioni vicine che potrebbero inizialmente confluire per poi raggiungere il proprio totale ripristino di sovranità sono:
IL MAGGIOR CONSIGLIO (CONSIGLIO FEDERALE)
ART. L-5 OGVP
Il Consiglio Federale (CF), (o Maggior Consiglio), è l’Organo collegiale dei Governatori degli Stati federati (Contee) riuniti in sede congiunta.
Il CF è presieduto da uno dei Governatori di Contea in carica e delegato a rotazione annuale quale Presidente dell’Assemblea Federale.
Il CF concorre col GVP (e quindi col Minor Consiglio) alla determinazione della politica nazionale secondo le indicazioni di Municipalità e Delegazioni che sono vincolanti in materia legislativa sia in termini abrogativi sia propositivi.
IL PRESIDENTE DEL MAGGIOR CONSIGLIO
Il Presidente del Consiglio Federale è nominato a rotazione annuale fra i Governatori di Contea degli Stati Federati.
Rappresenta e coordina i lavori dell’Assemblea con competenza legislativa concernente la politica attuativa nazionale.
IL GOVERNATORE DI CONTEA
Il Governatore della Contea rappresenta lo stato federato ed è Capo del Governo Statale.
Il Governatore di Contea è nominato a rotazione annuale fra tutti i Reggenti delle Municipalità che fanno parte dello stato federato.

CONSEU

Da non confondersi con l’Organizzazione delle nazioni e dei popoli non rappresentati di tutto il mondo (UNPO).
I SUOI OBIETTIVI
  1. Promuovere il riconoscimento delle diverse sensibilità delle nazioni senza stato d’Europa e dei loro diritti collettivi.
  2. Scambiare esperienze scaturite dalle diverse realtà delle nazioni senza stato d’Europa.
  3. Proporre formule di collaborazione tra le diverse organizzazioni che fanno parte del CONSEU nel pieno rispetto dell’indipendenza di ogni organizzazione e in spirito di solidarietà e collaborazione.
  4. Formulare delle proposte concrete da presentare alle istituzioni europee.
  5. Sostenere iniziative per la protezione dell’identità culturale delle nazioni senza stato d’Europa.
  6. Sostenere le organizzazioni che nel loro contesto statale soffrono discriminazioni o aggressioni a causa del loro impegno per i diritti collettivi del loro popolo.

 

COMUNITA’ LOCALI – IL DELEGATO

Per Comunità Locale  si intende l’insieme socialmente organizzato di individui che condividono una particolare limitata estensione geografica e il cui territorio coincide quasi sempre con un centro abitato, un borgo, un quartiere.

La Comunità Locale è anche intesa come il centro della vita di relazione dell’individuo ed è spesso espressione della tipicità e della caratteristica realtà territoriale.
Tutte le Comunità Locali costituiscono il massimo decentramento territoriale dei vari Distretti Amministrativi.
Con decisione espressa dai Cittadini del luogo, tutte le Comunità Locali sono designate dal Consiglio Distrettuale di ogni Distretto Amministrativo.
Per tutte le questioni cui è chiamata a concorrere, la Comunità Locale si determina con il voto a democrazia diretta avvalendosi del proprio Delegato detentore di limitata rappresentatività (non facoltà decisionale) quale espressione della diretta volontà popolare dei Cittadini di cui è portavoce.
Ogni Comunità Locale costituisce la DELEGAZIONE ELETTORALE nel cui ambito si svolge l’elezione del DELEGATO.
IL DELEGATO
Rappresenta la Comunità Locale il DELEGATO eletto fra i Cittadini maggiorenni e membri della collettività residente da almeno tre anni.
Per eleggere il proprio Delegato, la Comunità Locale con limitato numero di Cittadini residenti concorre con altre Comunità Locali territorialmente limitrofe, ma appartenenti al medesimo Distretto Amministrativo e Municipalità.
Attraverso il proprio Delegato, la Comunità Locale partecipa attivamente e concorre alla politica e all’amministrazione del proprio Distretto Amministrativo e della Municipalità di cui fa parte.
Il Delegato eletto è anche membro del Consiglio della Municipalità.
Il Delegato eletto assolve all’incarico di Reggente (ex Sindaco) della Municipalità con rotazione annuale fra tutti i Delegati eletti al Consiglio della Municipalità.
Per tutte le questioni cui è chiamata a concorrere, la Comunità Locale si determina con il voto a democrazia diretta avvalendosi del proprio Delegato detentore di limitata rappresentatività (non facoltà decisionale) quale espressione della diretta volontà popolare dei Cittadini di cui è portavoce.
UN PO’ DI STORIA
Il riferimento più antico è del 1116.
Si ritiene che, attorno al XII secolo, tra gli abitanti di uno stesso villaggio (o di più villaggi soggetti alla stessa giurisdizione) fosse sorto il comune interesse di mettere mano collettivamente ad alcune questioni, riguardanti tutti indipendentemente dall’estrazione economica e sociale.
Era necessario, per esempio, regolamentare l’uso dei beni pubblici, come boschi, pascoli e acque, organizzare la manutenzione della chiesa, ma anche di strade, ponti e pozzi, occuparsi dei servigi da rendere al signore locale.
Questa autonomia restava comunque sottoposta al governo centrale, che imponeva le tasse, legiferava sulla giustizia e pretendeva un certo numero di soldati.
A capo della comunità stava il meriga o mariga (in latino maricus), un rappresentante eletto liberamente dalla popolazione riunita in consiglio (vicinia) o dal feudatario locale nel caso ce ne fosse uno.
Con la Serenissima, questo ordinamento fu in gran parte mantenuto: la regola si evolse in villa, divisa in più colmelli (altrimenti detti comuni o desene), ciascuno con un proprio meriga.
LA VICINA
Nel Medioevo la vicinia era lo spazio dove si conduceva la vita quotidiana, spesso conteneva una chiesa, da qui prendeva il nome, e le botteghe.
Vi vivevano famiglie per intere generazioni, di indifferente ceto sociale, era un nucleo di densa solidarietà sociale, nella vicinia era nelle assemblee che si discutevano e decidevano le regole.
Il suo nome deriva da vicus-i (“villaggio” in latino), dal quale si analogizza l’assemblea dei villani, ovvero degli abitanti della villa.
Queste assemblee prendevano anche nome di vicinanze, università agrarie, o terrazzani.
Il termine vicinia assume diversi significati a seconda del contesto: in ambiti urbani, come a Brescia o Bergamo, indicava una specie di comitato di quartiere.
In ambiti rurali aveva un significato simile all’odierna amministrazione comunale.
La vicinia di San Pancrazio a Bergamo, è quella che ha conservato un’abbondante documentazione che permette la ricostruzione di come si sia evoluta nel tempo questa forma di società urbana, a sostegno dei comuni.
Era consuetudine ritenere “vicini” gli abitanti originari di una località.
Essi erano i discendenti di famiglie che abitavano ab immemore nella località.
Agli originari si contrapponevano i forestieri.
Esempi di vicinie sono le Vicinie della Valcamonica e alcune Magnifiche Comunità come quelle di Cadore, Folgaria, Fiemme e Locarno.

COLONIALISMO

Il termine indica anche, in senso stretto, il dominio coloniale mantenuto da diversi Stati europei su altri territori extraeuropei lungo l’età moderna e indica quindi il corrispettivo periodo storico, cominciato nel XVI secolo, contemporaneamente alle esplorazioni geografiche europee, assumendo nel XIX secolo il termine di imperialismo, e formalmente conclusosi nella seconda metà del XX secolo, con la vittoria dei movimenti anti-coloniali.
Il termine indica anche l’insieme di convinzioni usate per legittimare o promuovere questo sistema, in particolare il credo che i valori etici e culturali dei colonizzatori siano superiori a quelli dei colonizzati.

CODICE ETICO

DEFINIZIONE
Il codice etico è uno dei principali documenti che rappresentano il Movimento di Liberazione Nazionale del Popolo Veneto (MLNV).
È la regola per eccellenza ovvero il caposaldo etico del MLNV.
È un documento scritto per agevolare il nostro riferimento ai principi cardine dei nostri intenti.
È rivolto ai membri del Direttivo ma anche a tutti coloro i quali hanno deciso di condividere e partecipare al percorso intrapreso dal MLNV.
Condivisione e partecipazione sono due vincoli essenziali per essere e sentirsi parte del MLNV.
L’ideale del MLNV, vale a dire l’incondizionato e totale ripristino di sovranità del Popolo Veneto sulle proprie terre d’origine, è il fine che tutti i membri e i partecipanti hanno in comune.
Ecco perché al MLNV non si partecipa con una sottoscrizione ma si aderisce intervenendo, secondo le proprie capacità e possibilità, alla comune lotta di liberazione.
Per partecipare è necessario comprendere prima e poi scegliere di autodeterminarsi e di rivendicare la propria sovranità, come Persona e come Popolo.
Attraverso la nostra “carta dei valori” viene stabilito il principio etico generale a cui devono ispirarsi tutti i membri del MLNV.
Orientati dalla tipicità culturale, dalle tradizioni e anche dalla comune fede ai principi e valori cristiani del Popolo Veneto, tutti i membri devono adottare criteri di
  • trasparenza,
  • correttezza,
  • efficienza,
  • spirito di servizio,
  • collaborazione
  • e reciproca valorizzazione.
Con la carta dei valori il MLNV adotta indicatori morali inalienabili e coerenti col fine che si è preposto.
Alla luce di tali principi coniamo la nostra dottrina dei doveri per attribuire ai nostri comportamenti un compatibile status deontologico.
MEMBRI DEL MLNV  E PERSONE INTERESSATE – RAGGIO D’APPLICAZIONE
Tutti i membri di ogni ordine e grado del MLNV partecipano e cooperano con onorabilità e secondo le proprie reali possibilità alla realizzazione della missione.
Il concorso personale è determinato dalle capacità e dalle possibilità individuali uniformate se possibile alle proprie aspirazioni.
Alla realizzazione e allo sviluppo della missione possono concorrere soggetti latori di comuni e condivisibili interessi anche se per ragionevoli motivazioni non intendano rendere pubblica la loro partecipazione e cooperazione.
I membri di ogni ordine e grado del MLNV sono tenuti a ispirarsi e conformarsi ai principi del presente codice etico.
FONDAMENTO GIURIDICO DEL MLNV
Il MLNV è un soggetto di diritto internazionale qualificato dalla sua legittimazione internazionale basata sul diritto all’autodeterminazione del Popolo Veneto.
MISSIONE DEL MLNV
Rivendicazione del diritto di autodeterminazione del Popolo Veneto.
Ripristino di sovranità del Popolo Veneto.
Progettazione e cooperazione per la rifondazione della Repubblica Veneta.
RADICI STORICHE, CULTURALI ED ETICHE
Il MLNV approva e si identifica nel principio per il cui il Popolo Veneto e la Serenissima Repubblica Veneta fondano le radici storiche, culturali ed etiche sulle proprie origini cristiane.
CONDOTTA
L’etica per la quale si è costituito il MLNV stabilisce che lo status deontologico della politica e di ogni condotta sia conforme a tali criteri e per i soli fini per i quali si è costituito concretandosi in  comportamenti leciti e moralmente giusti.
L’onestà rappresenta il principio basilare per tutte le attività del MLNV, le sue iniziative e le sue comunicazioni e la stessa gestione organizzativa.
I rapporti a tutti i livelli, devono essere improntati a criteri e comportamenti educati, di collaborazione, sincerità e reciproco rispetto.
Tutti i membri sono tenuti alla massima trasparenza nei propri intenti e nei rapporti, come pure ad un’adeguata riservatezza nella trattazione dei compiti affidatigli.
PRINCIPIO DI VALIDITA’ LEGALE
Il MLNV si impegna a rispettare tutti i principi morali etici e civili e i Patti internazionali ispirati da questi.
SOVRANITA’ PERSONALE
Il MLNV riconosce ogni essere umano come Persona, espressione della propria personalità derivante dalla propria originale individualità e come tale titolare di una propria identità e sovranità personale.
POPOLO VENETO
Il MLNV si riconosce e si identifica nel Popolo Veneto quale comunità di Genti Venete che hanno diritto di essere libere e sovrane sulle proprie terre d’origine secondo la specificità della propria cultura, della propria storia, della propria fede cristiana (*), delle proprie tradizioni e delle proprie origini etniche.
SVILUPPO, PROGRESSO E MUTUO CONSENSO
Il MLNV ritiene che il Popolo Veneto debba promuovere l’interazione fra i propri membri per il perseguimento dello sviluppo e il comune progresso secondo i propri usi, costumi e tradizioni, determinando criteri, organizzazione e livelli di autonomia sociale armonizzandoli attraverso il mutuo consenso.
NAZIONE VENETA
Il MLNV ritiene e promuove il diritto del Popolo Veneto di affermarsi come Nazione fra le Nazioni e abbia diritto di determinarsi come entità statuale e come tale di legiferare e stabilire il proprio ordinamento con leggi, statuti, codici, norme, e regolamenti aventi valore nei confronti di tutti i membri della società che liberamente hanno deciso di farvi parte.
WSM
Venetia, mercoledì 3 luglio 2013
Sergio Bortotto
Presidedente del MLNV e del Governo Veneto Provvisorio

* il Vangelo di San Marco è cronologicamente il primo dei quattro Vangeli canonici

LA CITTADINANZA VENETA

SEZIONE 04 – ARTICOLO 04
Il cittadino veneto esiste e si identifica come parte integrante della comunità di “Genti Venete” libere e sovrane sulle proprie terre d’origine per diritto naturale.
La cittadinanza veneta è acquisita da ogni membro emancipato della società che liberamente sceglie di farne parte.
La cittadinanza veneta attribuisce comuni diritti civili e politici e fondamentali doveri cui si è tenuti.
I diritti civili derivanti dalla cittadinanza veneta sono attribuiti di diritto ad ogni persona di origine veneta fin dal proprio concepimento e fino alla propria emancipazione, senza alcuna distinzione di sesso, razza, condizione fisica e psichica e a prescindere da qualsiasi vincolo di patrimonio genetico attribuibili a specifici tratti razziali.
I diritti politici e gli obblighi derivanti dalla cittadinanza veneta impegnano ogni cittadino a concorrere con gli altri membri della comunità ai doveri sociali e di stabilire comunemente il proprio ordinamento con statuti, codici, norme e regolamenti che in quanto tali hanno valore e forza legale per l’intero Popolo.

IL CAPO CARISMATICO

RIFLESSIONI
(tratto da un testo di Francesco Alberoni)
Il capo carismatico
Ogni movimento esprime sempre dei capi che vengono riconosciuti dagli altri come gli unici a a guidare il movimento perché posseggono qualità straordinarie (carismi).
All’inizio il capo è solo uno dei tanti, poi diventa il primus inter pares, in seguito diventa il condottiero, la guida infallibile.
È stato Max Weber ad identificare il potere carismatico come una delle tre forme di potere legittimo (gli altri sono quello tradizionale e quello burocratico).
Di solito si afferma chi ha una idea vincente o quando dimostra una superiore capacità strategica e organizzativa.
Di qui un corollario importante: tutti i membri del gruppo allo stato nascente sono potenzialmente dei capi carismatici.
La speciale temperie emotiva, il senso di partecipare ad un grande compito di liberazione, l’esperienza fondamentale danno, anche a quelli che appaiono solo dei gregari, un impronta speciale, un carisma che si rivela quando agiscono nel mondo esterno.
Allora si comportano come dei capi carismatici, trascinano con se altra gente, creano altri gruppi, innescano altri processi di stato nascente.
No al mito del capo carismatico
Quando un capo si è affermato, quando ha sconfitto tutti i suoi avversari e messo in moto un grandioso processo di trasformazione, quando ha preso e consolidato il suo potere, chiunque egli sia stato, qualsiasi cosa abbia fatto, viene divinizzato.
Guardando i movimenti collettivi nel loro complesso vediamo che molti capi carismatici non sono dotati di qualità eccelse.
A volte sono degli agitatori particolarmente abili, a volte dei grandi oratori, a volte dei violenti, a volte dei temerari, a volte dei ciarlatani, a volte dei pazzi.
Oppure, preso il potere, si sono trasformati rapidamente in despoti e sono stati abbandonati dai seguaci.
Anche senza arrivare a questi estremi troviamo spesso capi che non sono all’altezza della situazione.
Vi sono però anche dei grandi capi carismatici che, nella loro vita sono riusciti a trasformare turbe sbandate in confraternite, partiti, eserciti organizzati.
Le istituzioni di dominio … no al fanatismo
Il movimento ha bisogno di una guida, di un capo.
Questo capo emerge dal calore bianco dell’entusiasmo dalla speranza di un rinnovamento radicale.
Talvolta è lui stesso che mette in moto il processo, di solito si fa strada nel fuoco delle agitazioni.
All’inizio comunque egli non si proclama capo, soprattutto nello stato nascente egli è solo il primus inter pares.
Col successo del movimento e trionfando sui suoi avversari a poco a poco viene riconosciuto da tutti e, poiché il movimento promette qualcosa di straordinario, egli stesso diventa straordinario: un capo carismatico.
Sul capo carismatico vengono proiettate tutte le qualità e tutte le virtù il “culto della personalità“ avviene spontaneamente, sono i seguaci stessi che innalzano il loro capo e lo adorano.
Il carisma però, ce lo ricorda Max Weber, è precario, si rafforza solo attraverso il successo, con la sconfitta può svanire.
E svanisce spontaneamente anche col passare del tempo perché nessun capo è in condizione di realizzare i sogni dorati dello stato nascente.
Compaiono critiche, invidie, concorrenti.
Per questo il capo carismatico, quando ha raggiunto i potere politico è portato a stabilizzarlo dichiarando che gli obbiettivi verranno realizzati e nel frattempo si libera di tutti gli avversari reali e potenziali.
Usando questo infernale meccanismo i capi della rivoluzione francese si sono sterminati l’uno dopo l’altro, lo stesso hanno fatto i capi della rivoluzione sovietica e quelli della rivoluzione cinese fino alla uccisione del membri della “banda dei Quattro“.
La divinizzazione del capo carismatico ha sempre, come corrispettivo, l’elaborazione paranoica di un nemico totale.
Il modo in cui il capo consolida il suo potere assoluto è l’asservimento morale.
E come la ottiene?
Chiedendo a ogni individuo di sacrificare proprio ciò che per lui è essenziale, di compiere un atto mostruoso, come denunciare o uccidere la moglie, un amico, il padre, il figlio. Facendo questo egli perde ogni capacità di giudizio morale.
Le cose non cambiano quando al posto di un unico capo carismatico c’è un gruppo una assemblea, un comitato di salute pubblica che impone la fraternità col terrore come nella rivoluzione francese.
È l’asservimento morale che porta alla formazione del fanatico.
Il fanatico non è semplicemente uno che crede fortemente.
E un individuo che è stato asservito moralmente.
Un individuo che ha accettato di compiere azioni in totale contrasto con i suoi convincimenti.
Il fanatico è uno che ha tradito, nella sua essenza, l’esperienza di liberazione, di fratellanza e di verità dello stato nascente.
Per questo ha perso la sua anima.
Può solo ubbidire e uccidere.
Le istituzioni di convivenza
Nelle fasi iniziale dei movimento gli individui sanno con chiarezza di essere portatori di diritti umani fondamentali e inalienabili.
Eppure pochi anni dopo la proclamazione dei diritti dell’uomo in Francia c’era il terrore e non uno solo di questi diritti veniva rispettato.
Eliminato un sovrano dispotico il movimento stesso e aveva eretto un sovrano collettivo – la Convenzione rivoluzionaria – ancora più dispotico e sanguinario.
Per evitare che nella situazione rivoluzionaria, nasca un nuovo più terribile dispotismo, bisogna che i rivoluzionari per prima cosa pongano dei limiti alla propria spontanea pressione verso l’unanimità che tende a generare una assemblea o un capo carismatico onnipotente che viola i diritti appena proclamati.
Questa è l’essenza delle istituzioni di convivenza.
Se il movimento non si auto impone un tale limite, genererà inevitabilmente un nuovo dispotismo.
La strada che allontana dalla democrazia
È solo ed esclusivamente nello stato nascente che esiste l’esperienza della coincidenza della volontà individuale autentica e della volontà generale e questa esperienza svanisce con esso.
Tutte le dottrine politiche, siano esse liberali, anarchiche, marxiste o islamiste, che promettono istituzioni capaci di conservare la coincidenza fra volontà individuale e volontà generale (profana o divina) producono totalitarismi.
La strada che conduce alla democrazia
All’estremo opposto del pensiero francese che ha il suo padre in Rousseau che vede emergere la costituzione dal contratto sociale creatore di una Volontà Generale senza limiti, la scuola inglese fa nascere lo Stato e la Costituzione solo dal freddo calcolo razionale.
Ciò che unisce gli uomini non è l’entusiasmo, la fede, il movimento, al contrario è la riflessione, il calcolo della propria convenienza.
Essendo intelligenti, capiscono che possono cedere il loro potere a qualcuno in cambio della vita e della sicurezza.
Avendo ceduto il loro potere in questo modo al Sovrano, sarà lui che li costringerà a vivere insieme in una armonia predisposta dalla legge.
Il sovrano non può mai e poi mai andare contro i diritti naturali inalienabili dei suoi sudditi. Se il sovrano attenta alla proprietà e alla libertà, i cittadini hanno il diritto di insorgere.
Con questo edificio di esemplare chiarezza e semplicità Locke ha fornito il modello dello Stato costituzionale moderno.
Politica sociale di solidarietà
“La trasformazione sociale non solidaristica… produce disordine e al di là di un certo grado di disordine la società cessa di funzionare in modo regolare…
Appaiono allora i movimenti, potenze che rompono l’ordine costituito, veri e propri vortici collettivi che dividono chi era unito e uniscono chi era diviso.
E così si ricreano altri gruppi, altri campi di gravità sociale, altri tipi di fiducia e di speranza, con nuove mete collettive” .
Alberoni spiega chiaramente, che tecnica ed economia, da sole non tengono insieme le società.
Occorrono le rose della solidarietà e il pane del buon governo.
In secondo luogo, perché, come fa capire l’autore, la politica, pur non potendo impedire in assoluto i movimenti, dal momento che le società sono entità in divenire, può prevenirli, e con intelligenza recepirne le istanze migliori.
L’ideale
Nel film La conquista del paradiso di Ridley Scott, Cristoforo Colombo vecchio, sconfitto, incontra il Tesoriere di Spagna che lo rimprovera di essere un sognatore , un idealista.
Allora il grande navigatore gli mostra la città, i palazzi, le guglie svettanti verso il cielo e gli domanda cosa vede “La civiltà“ risponde l’altro.”
“ Ebbene – conclude Colombo – tutto questo è stato creato da idealisti come me.”
In questi ultimi tempi ho incontrato molta gente pratica, ambiziosa, capace di astute operazioni finanziarie o di abili manovre politiche.
E, più di una volta, ho chiesto loro perché lo fanno, quale è il significato ultimo della loro azione.
Mi sono accorto che, di solito, non capiscono nemmeno la domanda.
Perché voglio diventare professore universitario?
Ma è ovvio, perché ci tengo, per realizzarmi, per sentirmi chiamare professore, per avere prestigio.
E per motivi analoghi voglio diventare senatore, presidente, rettore, sindaco, ministro.
Solo in pochissimi ho percepito che quella meta, quel titolo, era solo lo strumento per uno scopo più alto, per realizzare una finalità più importante, una missione, una vocazione, un sogno, una visione.
Coloro che sono mossi da un desiderio spasmodico di potere e sono pronti a tutto per ottenerlo, possono salire molto in alto.
Le persone che si muovono per amore della ricchezza e del prestigio personale possono raggiungere risultatati importanti.
Però solo chi è mosso da una visione può fare ciò che gli altri non riescono nemmeno pensare, nemmeno immaginare e che giudicano una follia o una sciocchezza.
Gli uomini e le donne che hanno questo tipo di visione, sono completamente diversi dagli ambiziosi che hanno bisogno di ricchezze e di onori per sentirsi qualcuno.
Sono diversi dai fanatici che vogliono imporre al mondo il loro credo o il loro regime politico con la violenza.
Essi non vogliono dominare, vogliono creare.
L’impulso a creare non appartiene alla dimensione del prendere, ma del dare, non a quella dell’egoismo, ma dell’altruismo.
E anche il potere, in questo caso, è solo uno strumento per poter dare.
Il creatore, il costruttore, chi ha un sogno, non dà comandi ed esige ubbidienza per il gusto di vedere gente inchinarsi davanti alla sua potenza, ma per edificare insieme qualcosa che riguarda loro come lui.
Egli perciò concepisce il comando come un appello e l’ubbidienza come un assenso.
Tutti i creatori sono, per natura, dei capi perché vogliono cambiare gli altri, portarli su nuove strade e far sbocciare possibilità che nessuno riesce ancora ad immaginare.
Perché vogliono costruire nuove istituzioni, nuovi mondi, dove la gente viva meglio, realizzarsi più pienamente.
E pensano sia naturale che gli altri dicano di sì, che si associno al loro progetto.
Per questo non esitano a svegliare gli increduli, a trascinare gli inerti, a convincere i prigionieri delle abitudini e degli interessi quotidiani.
Perciò è naturale che molti di costoro resistano, o non capiscano.
Per questo i creatori sono costretti ad avanzare fra incomprensioni ed ostacoli.
Finché non hanno vinto, finché non hanno dimostrato che si poteva fare l’impossibile, raggiungere l’irraggiungibile.
Facci sognare
Dal vero capo ci si aspetta che sappia dare un senso alla nostra azione.
Gli americani usano una espressione che avrete sentito più volte anche voi al cinema “facci sognare!” … il popolo più pragmatico della terra non chiede qualcosa di concreto … ma chiede invece proprio quanto di più impalpabile, di più irreale ci sia, un sogno.
Perché, in realtà, l’unica cosa che veramente conti, mobiliti, dia forza alla gente e la trascini è un sogno.
Ogni grande impresa é nata da una fede, da un sogno che ha dato a un uomo la forza di superare gli ostacoli, le incomprensioni le invidie che gli interessi costituiti e meschini creano sulla strada.
Il capo non è colui che ha la titolarità del comando, il capo è colui che crea.
Nessuno tiene insieme uno Stato, una impresa, nemmeno una famiglia se non affronta e risolve continuamente nuovi problemi, se non crea, non inventa.
La storia è piena di re fannulloni che passavano il tempo a caccia o in cerimonie mondane, mentre il governo era in mano a capaci ministri o, nel califfato islamico, ai gran visir.
Perfino nella più addormentata repubblica, dove i polittici passano il loro tempo a tessere intrighi e vendette reciproche, sorgono sempre grandi personalità solitarie che imprimono una svolta alla politica, oppure creano imprese, giornali, istituzioni, opere d’arte.
È a loro che guarda la gente, è grazie a loro che resta viva la fiducia e la speranza.
Indicare la meta
La realizzazione di una impresa dipende sempre dall’apporto e dal consenso di molte persone.
Uno degli errori più gravi che può compiere un leader, è di pensare di aver realizzato tutto da solo, chiudersi nella sua sicurezza e non ascoltare le voci che gli danno informazioni, suggerimenti, oppure che lo avvertono degli errori e dei pericoli.
Ma a questo pericolo ne corrisponde uno opposto, la dispersione delle mete e la mancanza di una leadership energica, efficace, lungimirante capace di tener ferma la meta e rifare continuamente la rotta.
Una qualità essenziale tanto nel mondo politico come in quello produttivo.
Il leader di un movimento, il leader carismatico è colui che riesce a indicare la meta tenendo presente le innumerevoli spinte che vengono dal basso.
Egli viene ubbidito perché gli altri lo ritengono “il più adatto” “colui che sa” .
Al di fuori dei movimenti, quando una formazione politica si costituisce attraverso la coalizione di soggetti politici indipendenti, invece il capo deve essere essenzialmente un mediatore capace di trovare il consenso, la strada che permetta a tutti di ricavare un qualche vantaggio.
Ma è un lavoro difficile e che facilmente fallisce o non consente di realizzare grandi obbiettivi.
La trama deve essere tessuta e ritessuta continuamente.
Ma anche all’interno delle organizzazioni sorgono continuamente divergenze.
Per porvi rimedio, alcuni seguono la strada di moltiplicare le regole, di rafforzare la struttura burocratica.
Ma è un gravissimo errore.
Più la struttura si irrigidisce, più ogni singolo ufficio si preoccupa di aumentare il suo raggio d’azione, ogni singolo funzionario lavora per accrescere il suo potere, e moltiplica le pratiche, i divieti, le regole inutili.
Studiando le grandi organizzazioni vediamo che, spesso, la gente che vi lavora ha perso completamente di vista il fine per cui sono state costituite.
Ciascuno fa valere solo l’interesse della sua categoria, del suo gruppo.
Per questo motivo, ad un certo punto, si sente il bisogno “dell’uomo forte”, di un capo che sappia imporre un unico punto di vista.
Di un capo che costringa tutti ad una ubbidienza cieca, pronta ed assoluta.
Se questo capo arriva, in un primo tempo, il metodo ha successo.
Tutti corrono, finiscono le discussioni, i ritardi e le inefficienze.
Però, dopo qualche tempo, il capo onnipotente, che crede di poter fare tutto da solo, finisce per restare isolato, per perdere i contatti con le persone concrete, con i loro problemi, le loro aspirazioni, le loro speranze.
Non sa più come motivarle.
E lo stesso capita in politica.
Alcuni grandi leader politici, con questo atteggiamento oppressivo, hanno finito per soffocare la creatività della società civile.
La vera funzione del capo, perciò, non è quello di fare tutto, di pensare a tutto, di controllare tutto, di sostituirsi a tutti.
La sua funzione non è di imporre in ogni campo la sua volontà, di dare ordini minuziosi su ogni argomento, sterilizzando o frustrando la creatività degli altri.
Il leader è, prima di tutto, il custode della meta, colui che ricorda ed indica a tutti dove si deve andare, e controlla che la rotta venga tenuta.
Egli deve trasmettere, ad ogni livello dell’organizzazione, il senso della missione, il significato del compito e il senso del dovere.
E, per farlo, deve crederci profondamente.
Nessuno convince gli altri se non é convinto lui stesso.
Nessuno trasmette modelli se non li pratica personalmente.
Se non dà l’ esempio.
È con la sua energia, con la sua fede, con il suo esempio, creando simpatia, fiducia, entusiasmo nei collaboratori, che li porta naturalmente a mettere a frutto tutte le loro energie e la loro intelligenza.
Che insegna loro a guidare, mobilitare dare l’esempio, a loro volta, i propri dipendenti. Cioè per diventare, essi stessi dei veri capi.
Creare una comunità morale
Una impresa raggiunge i suoi successi più strepitosi quando il gruppo dirigente è formato da persone che condividono gli stessi fini ed in cui ciascuno dimentica i propri interessi personali per darsi totalmente allo scopo comune.
Allora la sua personalità si dilata, la comprensione reciproca diventa fulminea, l’accordo diventa facile, spontaneo e nasce una forza, una creatività straordinaria.
È questo ciò che ogni leader, ogni imprenditore, ogni capo dovrebbe voler realizzare.
E, quando lo ha realizzato, dovrebbe coltivare, tenere vivo, proteggere, potenziare questo spirito, ed impedire che si accendano i processi negativi in cui ogni individuo antepone la sua personale meta individuale, il suo personale interesse alla meta collettiva.
Troppo spesso dimentichiamo che una impresa non è solo una entità economica, cementata da interessi, ma una comunità morale.
Quando si spezza la comunità morale, e il gruppo resta unito solo dalla ricerca del potere del guadagno, delle chiacchiere o, ancor peggio dalla ipocrisia e dalla paura, il suo destino è segnato: lentamente declina, sprofonda nella mediocrità, alla fine fallisce.
Troppo spesso dimentichiamo che oltre all’intelligenza, alla lungimiranza, oltre alla stessa genialità il grande leader deve avere realmente delle qualità morali, delle virtù.
Perché solo se le possiede in proprio potrà trasmetterle agli altri.
Sembra impossibile che la gente abbia dimenticato che uno Stato, un partito, una impresa ha realmente bisogno di moralità.
E che la moralità non è fatta di parole, ma di sentimenti sinceri e di comportamenti coerenti.
E che si insegna solo con l’esempio.
La parola virtù è oggi così poco usata che ci siamo perfino dimenticato il suo significato.
Una virtù è un insieme di qualità, profondamente interiorizzate che soddisfano simultaneamente tre requisiti.
  • Il primo è di realizzare ciò che riteniamo un valore, per cui ci sentiamo migliori.
  • Il secondo di ottenere risultati utili per noi o per la nostra comunità, cioè una utilità.
  • Il terzo terza di costituire un modello, un comportamento che vorremmo seguissero anche gli altri.
Solo quando sono presenti tutti e tre questi requisiti una virtù è completa.
Quali virtù allora?
  • sincerità contrapposta alla falsità, alla doppiezza, l’intrigo, la calunnia, l’ ipocrisia.
  • obbiettività: la capacità di valutare senza farsi influenzare dai pregiudizi e dalle maldicenze.
  • forza d’animo, che lo rende sereno e lucido anche nei momenti più difficili.
  • umiltà, che è la capacità di ascoltare gli altri e di ammettere e correggere i propri errori.*
  • coraggio, necessario per prendere decisioni difficili ed assumersene le responsabilità.
  • generosità che è la capacità di pensare agli altri, al loro benessere, di dedicarsi, di spendersi, dando l’esempio.
giustizia, l’arte difficile di scegliere veramente i capaci, gli onesti, i sinceri, e scacciare i disonesti, i falsi, i calunniatori, chi perseguita e prevarica gli innocenti

CAPACITA’ GIURIDICA

Non va confusa con la capacità di agire, che è l’idoneità del soggetto a porre in essere atti giuridici validi, esercitando in questo modo i suoi diritti e adempiendo ai suoi doveri.
La capacità giuridica, in quanto modo d’essere del soggetto giuridico, rientra tra le qualità giuridiche.

CAPACITA’ DI AGIRE