GLOSSARIO

SERENISSIMI

Serenissimi è il nome dato dai mass media a un gruppo di persone (autodefinitesi Veneta Serenissima Armata, braccio operativo del cosiddetto Veneto Serenissimo Governo) che nel nome della Repubblica di Venezia, la notte fra l’8 ed il 9 maggio 1997, a pochi giorni dalla ricorrenza del bicentenario della caduta della Serenissima (12 maggio 1797), occupò piazza San Marco e il campanile della basilica issando sulla cella campanaria la bandiera di Venezia.
Il gesto era inteso come rivendicazione simbolica di natura indipendentistica.
Secondo i suoi fautori lo scioglimento della Repubblica di Venezia, il 12 maggio 1797 a seguito dell’invasione napoleonica, sarebbe stato illegale, così come il plebiscito del Veneto del 1866 che ratificò l’annessione all’Italia.
Il caso suscitò un vasto clamore ed ebbe rilievo sia nella stampa italiana sia in quella internazionale.
Secondo quanto accertato in seguito, l’intenzione degli occupanti del campanile sarebbe stata quella di tenere tale posizione sino al 12 maggio, bicentenario dell’abdicazione del Maggior Consiglio della Repubblica Veneta e del Doge Ludovico Manin alle truppe francesi; allo scopo s’erano dotati anche di viveri.
Gli uomini sul campanile erano in possesso di un radiotrasmettitore, già utilizzato in vari episodi di “pirateria radiofonica” a partire dal 17 marzo 1997, per emettere abusivamente messaggi politici in tutto il Veneto sulle stesse frequenze della RAI (in particolare il TG1), coprendone le trasmissioni e incitare i veneziani all’insurrezione.
I manifestanti comunicarono alle autorità, che nel frattempo avevano isolato la piazza, che avrebbero iniziato a trattare non appena fosse giunto un loro rappresentante.
La sera stessa il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, andò a parlare con i manifestanti.
Al mattino del 9 alle ore 8.15, su ordine del prefetto, uomini del GIS dei Carabinieri diedero inizio allo sgombero.
Un gruppo di militari occupò la piazza arrestandovi alcuni occupanti, un altro gruppo scalò il campanile usando delle impalcature poste all’esterno del monumento mentre altri penetrarono all’interno.
Nel giro di pochi minuti i carabinieri arrestarono tutti i partecipanti all’azione.
Le persone coinvolte
Il gruppo dei Serenissimi era composto da:
Giuseppe “Bepin” Segato
Gilberto Buson
Cristian Contin
Flavio Contin
Antonio Barison
Luca Peroni
Moreno Menini
Fausto Faccia
Andrea Viviani
Le motivazioni all’inizio non furono chiare e solo la conoscenza dei personaggi che l’attuarono portarono a definire meglio l’ambiente in cui si progettò l’evento.
Sembra che queste persone, pur non svolgendo un’attività politica in senso proprio, avessero nostalgia per i tempi della Repubblica di Venezia, cancellata manu militari da Napoleone Bonaparte e ne auspicassero la restaurazione.
Sostenevano di aver fatto delle ricerche storiche e scoperto elementi che, a loro parere, invalidavano l’atto di Napoleone del 1797, l’accettazione dell’atto da parte del Maggior Consiglio e anche il plebiscito di ratifica dell’annessione al Regno d’Italia del 1866.
Secondo i Serenissimi l’atto di Napoleone era illegittimo in quanto effettuato contro uno Stato neutrale e non perfezionato dal “Maggior Consiglio”, che avrebbe deliberato in mancanza del numero legale; il plebiscito del Veneto del 1866, invece, sarebbe stato caratterizzato da brogli e violazioni degli accordi internazionali sottoscritti durante l’armistizio di Cormons e il trattato di Vienna.
A seguito delle indagini volte a svelare la pianificazione del gesto eversivo, fu istruito un processo. Tra i capi di accusa ipotizzati vi erano:
  1. attentato contro l’unità dello Stato
  2. banda armata
  3. interruzione di pubblico servizio, per le interruzioni delle trasmissioni televisive effettuate in precedenza alla manifestazione veneziana.

Nel maggio 2006 vi sono stati altri rinvii a giudizio per altri reati connessi agli stessi fatti.
Il processo ai Serenissimi si concluse con assoluzioni, patteggiamenti e condanne:
Luigi Faccia: condanna a 4 anni e 9 mesi di reclusione per la manifestazione veneziana (scontati 3 e mezzo ed affidato ai servizi sociali) oltre ad una condanna a 6 mesi di reclusione per associazione sovversiva da parte del Tribunale di Verona, 5 anni e 3 mesi complessivi.
Non aveva partecipato alla manifestazione, ma fu identificato come uno degli organizzatori dell’operazione e sedicente Presidente del Veneto Serenissimo Governo.
Giuseppe Segato: condanna a 3 anni e 7 mesi di reclusione per il reato di eversione.
Non aveva partecipato all’azione, ma fu identificato come “l’Ambasciatore Veneto” aspettato quella notte e come l’ideologo del gruppo.
Gravemente ammalatosi durante la prigionia, morirà il 26 marzo 2006, poco dopo la scarcerazione.
La Corte di cassazione infine, con sentenza della VI sezione penale n. 26151 del 16 marzo 2011 (depositata il 5 luglio 2011) ha assolto tre membri del gruppo (Gilberto Buson, Cristian Contin e Flavio Contin) dalle accuse più gravi di costituzione di banda armata e di associazione sovversiva per finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico, in quanto l’organizzazione, che pur perseguiva un programma eversivo ipotizzando atti di violenza, fu ritenuta strutturalmente inidonea a raggiungere lo scopo per mancanza di strumenti.
Una prima domanda di grazia per Luigi Faccia fu presentata dalla moglie nel dicembre 1999, ma nel 2000 l’allora ministro della giustizia Piero Fassino, ne bloccò l’iter.
Una volta cambiato titolare del dicastero, intervenne una nuova domanda. Il ministro leghista Roberto Castelli dichiarò che «Faccia non ha fatto male a nessuno», e tuttavia la grazia, che è competenza esclusiva del presidente della Repubblica, non gli fu concessa.
Durante la detenzione i Serenissimi ricevettero numerose lettere di solidarietà, alcune sono raccolte nel libro Ti con nu, nu con Ti.

SECESSIONE

Secessione significa letteralmente divisione, separazione, ma il Popolo Veneto non ha bisogno di dividersi dallo stato straniero occupante italiano perchè è quest’ultimo che deve andarsene, con le buone o con le cattive.
Il processo secessionista è tipico degli “insorti” laddove una popolazione si rivolta contro il proprio stato perché è un tiranno… è quindi un processo interno ad una nazione e si realizza spesso con la rivolta e conquista della territorialità strappata al controllo dominante da parte della popolazione o una parte di essa.
Appare fin troppo evidente che questa opzione non è quella giuridicamente necessaria al Popolo Veneto che di fatto non è italiano.

SCHIAVISMO

Lo schiavismo è il sistema sociale ed economico basato sulla schiavitù:
« [La schiavitù] è lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o taluni di essi, e lo “schiavo” è l’individuo che ha tale stato o condizione »
(Nazioni Unite, Convenzione supplementare sull’abolizione della schiavitù, del commercio di schiavi e delle istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù).
Oggi la schiavitù è una condizione formalmente illegale in tutto il mondo, fatto sancito tramite l’adozione, da parte delle Nazioni Unite, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, avvenuta nel 1948.
La schiavitù nel X secolo scomparve in Europa che però continuò ad ammettere in uso lo schiavismo all’esterno delle proprie nazioni. Per il resto del mondo soltanto a partire dall’epoca dell’Illuminismo avvenne una sparizione graduale del fenomeno, favorito persino da eventi reazionari come il Congresso di Vienna. Dalla fine dell’ultimo millennio, tuttavia, si assiste ad un inaspettato e consistente ritorno dello schiavismo caratterizzato da proprie peculiarità nei diversi Stati.
Similmente a quanto si è potuto osservare nel corso della storia, lo schiavismo colpisce spesso etnie di paesi stranieri, che per una ragione o l’altra si trovano in un ruolo subalterno o in posizione svantaggiata. Ad esempio tra gli immigrati provenienti dall’Est Europa e da altri continenti non si trovano più solo persone motivate dal bisogno di sicurezza o di sostentamento personale: spesso infatti gli emigranti lasciano il paese contro la propria volontà; altre volte si tratta di persone che sono state convinte a partire con promesse ingannevoli. In questi casi, non è esagerato scomodare il termine di tratta di schiavi verso i paesi occidentali (vedi nota sulla legislazione alla fine di questo capitolo). In Italia, i settori economici dove il fenomeno dello schiavismo è più frequente sono forse la prostituzione e l’agricoltura.
Le ragioni di questo fenomeno sono molteplici. Secondo lo studioso Bales Kevin, le cause dell’espansione di nuove forme di schiavismo, che spesso riguardano anche le società occidentali, sarebbero il rapido incremento della popolazione mondiale e la cattiva gestione (spesso da parte dei governi di paesi poveri) delle nuove sfide cui deve andare incontro la politica.
Tra queste, la globalizzazione ha senza dubbio un posto di primo piano
La cattiva gestione avrebbe favorito, infine, la formazione ed il consolidarsi di nuovi gruppi di élite interessati a sfruttare il mutamento sociale ed economico in corso.
Per una rudimentale caratterizzazione delle nuove forme di schiavismo si ricordano pochi punti di vista essenziali:
  • Riconoscimento sociale: la schiavitù dell’epoca postmoderna viene sempre ed unanimemente condannata dalla coscienza comune (vedi ad es. Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 4, per il caso europeo). In quanto illegale, in Occidente il rapporto di schiavitù non può quasi esistere senza l’appoggio della criminalità organizzata, spesso internazionale, e di forme di mobilità come l’emigrazione clandestina.[87]
  • Mansioni: Nel caso dello schiavismo dei paesi occidentalizzati, lo spettro delle mansioni cui può essere addetto uno schiavo è notevolmente mutato. Non esistono più in Occidente schiavi guerrieri, né insegnanti; neanche le mansioni dei lavori domestici presso una famiglia sembrano poter rientrare sotto il fenomeno di schiavismo.
  • A parte la prostituzione e l’agricoltura, sono spesso considerate come schiavismo moderno forme di sfruttamento violento il racket delle elemosine, il traffico di organi e l’abuso di minorenni per pedo-pornografia.
  • Acquisizione e durata del rapporto di schiavitù: La condizione di schiavitù acquisita per nascita è ormai almeno in teoria impossibile. Essendo meno facile da instaurare e meno difficile da sciogliere, il rapporto di schiavitù non dura quasi mai tutta la vita della vittima, ma tende a colpire soprattutto le fasce di età giovane. Sono infatti molte le fonti a sostenere che gli schiavi siano in buona parte dei minorenni.
  • Mezzi di pressione: Per lo sfruttatore attivo nei paesi occidentali, oggi la maniera più efficace per sostenere il rapporto di schiavitù è probabilmente la minaccia di violente ritorsioni contro i parenti rimasti in patria. Va inoltre detto che ancor oggi i debiti vengono usati come mezzo di pressione nei confronti della vittima. Ovviamente, se nell’antichità la schiavitù era spesso il normale risvolto dell’incapacità di pagare un regolare debito, oggi la schiavitù si basa abbastanza sistematicamente su accordi di prestito abusivi, in quanto è in pratica impossibile estinguere il debito.

 

ATYAGRAHA OVVERO “FERMEZZA IN UNA BUONA CAUSA”.

Gandhi, nel corso del 1907, avviò una riflessione volta a discutere criticamente l’uso di questi termini.
Solo alcuni anni dopo (attorno al 1913) Gandhi iniziò a rifarsi al termine “ahimsa” = nonviolenza / innocenza (letteralmente: “assenza della volontà di nuocere”).
Peraltro Gandhi stesso diverrà consapevole assai presto che l’ahimsa è da intendersi in senso positivo, e non semplicemente negativo, come pura “assenza di violenza”.Ahimsa significa l’appello ad una “forza altra”, distinta dalla violenza e ad essa opposta, e la definirà “forza che dà vita”.
Così Gandhi il 18 dicembre 1907 indisse, dalle colonne del settimanale degli indiani del Sudafrica “Indian Opinion”, un concorso per trovare un nome più appropriato e che sapesse cogliere a pieno lo spirito del metodo.
La proposta vincente fu suggerita da shri Maganlal Gandhi: sadagraha, cioè “fermezza in una buona causa”.
A Gandhi la parola piacque, ma – dice lui stesso nella sua autobiografia – “affinché fosse più comprensibile io poi la cambiai in satyagraha, che da allora in poi è diventata comune in lingua gujarati per definire la nostra lotta”.
Il 10 gennaio 1908 Indian Opinion pubblica per la prima volta la parola Satyagraha, che da allora divenne il nome ufficiale del movimento e del metodo di lotta promosso da M. K. Gandhi: la forza che nasce dalla verità e dall’amore.
Il satyagrahi (colui che pratica il satyagraha) aderisce a undici principi che osserva in spirito di umiltà: non violenza, verità, non rubare, castità, rinuncia ai beni materiali, lavoro manuale, moderazione nel mangiare e nel bere, impavidità, rispetto per tutte le religioni, swadeshi (uso dei prodotti fatti a mano), sradicamento dell’intoccabilità.
Il satyagraha può anche essere definito una forma di lotta politica e sociale (per Gandhi vi è una forte identità tra i due termini), dotata della massima efficacia se utilizzata per fini nobili e degni; risulta, invece, inutile o dannosa per chi lo pratica per egoismo o brama.
Nel pensiero satyagraha vi è identità tra fine e mezzo, a dispetto di ogni concezione “machiavelliana”: per raggiungere una meta giusta l’unico modo è quello di usare metodi pacifici e nonviolenti, con amore verso il “nemico” contro cui è diretto.
Esso distingue il peccato dal peccatore e, mentre verso il primo si scaglia con tutta la sua forza, verso il secondo si comporta fraternamente: il suo obiettivo non è la distruzione dell’avversario, ma la sua convinzione (con-vincere, vincere con), e la pacifica convivenza di entrambi.
Chi pratica il Satyagraha intende dare forza all’avversario che usando motodi violenti è in realtà debole e per questo necessita della forza spirituale che si sprigiona durante un’azione nonviolenta.
Nel satyagraha vi è una forte tensione morale: i valori sono una componente fondamentale del pensiero e dell’azione, in ogni campo (sociale, politico, religioso, economico, culturale, ecc.).
Il satyagraha è anche il servizio dell’altro: nella disputa è còmpito del satyagrahi mostrare la via giusta, aderirvi e accettare a cuor sereno tutte le conseguenze.
La disobbedienza civile potrebbe rendere necessario infrangere una legge ingiusta: in tal caso il cittadino, rispettoso di tutte le altre leggi, moderato dall’auto-disciplina, obbedirà alla superiore legge morale e trasgredirà quella dello stato accettando senza rimorso la pena corrispondente.
Il fondamento di ciò è la superiorità della purezza dello spirito (derivante dall’obbedienza alla legge morale) rispetto alla sofferenza del corpo che potrebbe essere causata dal danno economico ricevuto o dalla permanenza in prigione.
Nel concreto il satyagraha si traduce in molteplici forme, alcune delle quali storicamente sperimentate, altre sono ancora da ideare.
Esse sono: la non collaborazione nonviolenta, il boicottaggio, la disobbedienza civile, l’obiezione di coscienza alle spese militari, l’azione diretta nonviolenta, il digiuno, ecc., nonché, in termini più generali, il pacifismo.
In India si ricorda la storica marcia del sale del 1930.
Il governo inglese aveva imposto una tassa sul sale che, essendo questo una materia prima di fondamentale importanza, andava a colpire pesantemente tutta la popolazione indiana con particolare danno dei più poveri.
Gandhi e i suoi collaboratori (o meglio amici, compagni, familiari) partirono dalla loro fattoria che erano in 78: i loro nomi vennero pubblicati sui giornali perché la polizia ne fosse informata.
Percorsero a piedi le duecento miglia che separano Ahmedabad da Dandi, nello stato del Gujarat, marciando per 24 giorni, e quando arrivarono alle saline erano diverse migliaia.
Alla fine il Mahatma raccolse un pugno di sale.
Disarmati, ordinatamente e col sorriso sulle labbra, i manifestanti andavano incontro alla polizia, sul luogo per sedare la rivolta.
Nonostante i duri colpi di sfollagente, i numerosi feriti e la violenza delle autorità, i cittadini continuavano ad avanzare silenziosi, a subire il trattamento senza reagire in alcun modo, senza neanche difendersi.
Dopo un po’ la polizia si arrese di fronte ad una fiumana di gente che continuava ad avanzare senza paura.
Fu lo stesso comandante ad ammettere, a posteriori, il senso di impotenza di fronte a quella moltitudine, che coglieva impreparati gli agenti generalmente avvezzi a ben altro tipo di proteste popolari.
Martin Luther King praticò il satyagraha ispirandosi direttamente alle gesta nonviolente di Gesù e di Gandhi.
Negli Stati Uniti d’America del Sud organizzò un boicottaggio agli autobus, poiché vigevano delle norme che imponevano discriminazioni razziali nei posti a sedere.
Altri esempi di Martin Luther King sono la marcia su Washington per la conquista dei diritti civili e i numerosi sit-in.

RIVOLUZIONE

Avremo reso un servigio all’umanità.
Nella filosofia politica è l’ideale della realizzazione storica di un radicale cambiamento, ispirato da motivazioni ideologiche, nella forma di governo di un paese con trasformazioni profonde di tutta la struttura sociale, economica e politica.
La rivoluzione come fenomeno storico è un processo rapido o di lunga durata, non sempre violento, con il quale classi o gruppi sociali, più o meno ampi, si ribellano alle istituzioni al potere per modificarle e determinare un nuovo ordinamento politico.
(vedi anche SECESSIONE – INSURREZIONE)

RICONOSCIMENTO DI STATO E DI GOVERNO

Stati totalmente privi di riconoscimento o riconosciuti solo da un numero ridotto di altri Stati sono definiti come “Stati non riconosciuti” o “a riconoscimento limitato”.
Riconoscimento di Stati
Si ha un riconoscimento di Stato quando uno Stato, con un proprio atto, riconosce appunto la condizione di “Stato” a un’altra entità, ammettendola quindi nel novero dei soggetti di diritto internazionale; benché il riconoscimento sia necessario per fare ciò, dall’atto non discende comunque un automatico obbligo di avviare relazioni diplomatiche tra i due soggetti. L’atto di riconoscimento testimonia tanto la volontà politica dello Stato preesistente di intrattenere normali relazioni con lo Stato riconosciuto, che l’attestazione giuridica da parte di esso dell’esistenza delle condizioni previste perché un soggetto possa essere considerato come “Stato sovrano”.
Sulla base della cosiddetta “teoria dichiarativa”, uno Stato esiste se controlla stabilmente un territorio abitato e se è dotato di autonome istituzioni di governo che esercitino effettivamente la sovranità su tale territorio; secondo tale teoria, quindi, l’esistenza di uno Stato non dipende dal riconoscimento o meno di esso da parte degli altri Stati: uno Stato è tale anche se non è riconosciuto da nessun altro Stato al mondo, e l’atto di riconoscimento non è costitutivo della personalità giuridica internazionale ma solo “dichiarativo” di una situazione già esistente nei fatti.
Secondo la più vecchia “teoria costitutiva”, invece, il riconoscimento da parte degli altri Stati è condizione necessaria perché un soggetto possa diventare uno “Stato sovrano” a tutti gli effetti: in base a tale tesi, sono gli Stati preesistenti a decidere se e quando un nuovo ente può essere ammesso nel novero dei soggetti di diritto internazionale.
Il riconoscimento è un atto politico, non soggetto a particolari obblighi giuridici nella sua formulazione, pertanto è realizzabile sia tramite un atto esplicito che attraverso comportamenti che attestino in qualche modo una forma di “riconoscimento tacito”: ad esempio, si ritiene generalmente che il voto favorevole di uno Stato all’ammissione di un soggetto all’interno di un’organizzazione internazionale riservata agli Stati (in particolare, le Nazioni Unite) costituisca una forma di “riconoscimento di Stato tacito” di tale soggetto; per tale ragione, quando uno Stato intrattiene una qualche forma di contatti o colloqui con un soggetto verso cui non intende operare un riconoscimento, può sentire il bisogno di proclamare esplicitamente che i suoi atti non costituiscono riconoscimento di Stato di tale soggetto.
Si ritiene che l’atto di riconoscimento di uno Stato produca un effetto di estoppel nei confronti di chi opera il riconoscimento: l’atto preclude allo Stato che ha effettuato il riconoscimento la possibilità di contestare successivamente la situazione di fatto o di diritto riconosciuta, o di negare in un secondo tempo la soggettività giuridica internazionale allo Stato riconosciuto.
In passato, si riteneva che unico requisito richiesto al nuovo soggetto perché potesse essere riconosciuto come Stato fosse l’effettivo controllo di una comunità territoriale. Dagli anni 1930 (con la cosiddetta “Dottrina Stimson”), e poi ancora con l’adozione della Carta delle Nazioni Unite, si è dato maggior rilievo al fatto che il nuovo soggetto rispetti effettivamente le regole fondamentali della comunità internazionale (come il divieto di ricorrere alla guerra in violazione di trattati internazionali), i diritti umani universali e i diritti generalmente accordati alle minoranze: in caso di violazione di tali principi, è ritenuto legittimo che uno Stato rifiuti il riconoscimento a un soggetto che pure esercita la piena autorità sovrana su un dato territorio, circostanza che ad esempio si verificò con la Rhodesia tra il 1965 e il 1980 (il riconoscimento dello Stato rhodesiano, che pure era effettivamente in possesso dei requisiti sostanziali di controllo del territorio, fu vietato da due risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a causa delle ripetute violazioni dei diritti delle popolazioni nere).
Poiché però il riconoscimento è un atto unilaterale e non soggetto a particolari obblighi giuridici, è perfettamente possibile che uno Stato riconosca un soggetto anche se esso viola i principi di cui sopra; in particolare, si parla di “riconoscimento prematuro” quando il riconoscimento avviene prima che il nuovo Stato sia entrato in possesso delle condizioni di fatto per l’acquisto della personalità giuridica internazionale (in particolare, l’effettivo controllo di un territorio abitato): ad esempio, “riconoscimento prematuro” è stato considerato da alcuni autori quello accordato da Comunità europea, Austria e Svizzera nei confronti della Croazia il 15 gennaio 1992, in quanto il nuovo Stato croato, impegnato nelle guerre jugoslave, non controllava all’epoca che un terzo del suo territorio.

Riconoscimento di governi
Si ha un riconoscimento di governo quando uno Stato riconosce appunto la condizione di “governo di uno Stato” a un certo soggetto esterno, avviando con esso normali rapporti diplomatici; il riconoscimento di governo è un atto distinto dal riconoscimento di Stato, benché sia necessario che il secondo sia stato effettivamente eseguito per poter operare il primo.
A differenza del riconoscimento di Stato, il riconoscimento di governo può essere successivamente ritirato o annullato dallo Stato che lo ha effettuato, mossa che costituisce una misura di riprovazione internazionale superiore in intensità alla rottura delle relazioni diplomatiche; il venir meno del riconoscimento di governo non ha però effetti sul precedente riconoscimento dello Stato interessato.
Generalmente, la questione del riconoscimento di governo non si pone quando la successione tra due governi si verifica nel rispetto delle normative costituzionali dello Stato interessato, cioè quando avviene per tramite di elezioni o referendum; invece, si ritiene necessario esperire un riconoscimento di governo quando la successione avviene per vie extracostituzionali o violente, cioè a seguito di un colpo di stato o di una rivoluzione.

LA RESISTENZA NON VIOLENTA

È diffusamente assimilata alla resistenza civile, sebbene i due concetti abbiano meriti distinti e connotazioni leggermente differenti.
La forma moderna di resistenza nonviolenta è stata resa popolare, nonché collaudata per la sua efficacia, dal leader indiano Gandhi nei suoi sforzi per ottenere l’indipendenza dagli inglesi.
Tra i sostenitori della resistenza nonviolenta, occorre menzionare Lev Tolstoj, Mohandas Gandhi, Andrej Sacharov, Martin Luther King, Václav Havel, Gene Sharp e Lech Wałęsa.
Nel 2006 la biologa evoluzionista Judith Hand ha presentato un metodo per abolire la guerra fondato sulla resistenza nonviolenta.
Molti movimenti che promuovono la filosofia nonviolenta o quella pacifista hanno adottato dei metodi d’azione nonviolenta per perseguire efficacemente obiettivi sociali o politici.
L’azione nonviolenta si discosta dal pacifismo poiché essa è potenzialmente proattiva e interventista, e nasce da un rifiuto radicale della violenza.

RESISTENZA FISCALE

(Henry David Thoreau, Disobbedienza civile)
« Rifiutarsi di pagare le tasse è uno dei metodi più rapidi per sconfiggere un governo[senza fonte]. »
(Mahatma Gandhi)
La resistenza fiscale, protesta fiscale o sciopero fiscale è un gesto di ribellione consistente nel rifiuto di pagare le tasse allo Stato.
Tale gesto è spesso dovuto ad una forte opposizione a determinate politiche del governo, sia da un punto di vista civile che economico, oppure un’opposizione allo Stato in quanto istituzione in sé (gesto spesso attuato da movimenti anarchici).
Molti resistenti fiscali storici sono stati dei pacifisti, oppure particolari movimenti religiosi, come i quaccheri.
Questa “tecnica” è stata spesso usata anche da movimenti e personaggi nonviolenti, come ad esempio Mahatma Gandhi e Martin Luther King.

REPRESSIONE

La repressione politica può essere caratterizzata da discriminazioni, abusi da parte degli organi di polizia, ad esempio arresti ingiustificati o interrogatori brutali, e da azioni violente, come l’omicidio o la “sparizione forzata” di attivisti politici e dissidenti.
Quando la repressione politica è regolata e organizzata dallo stato stesso, si può parlare di terrorismo di stato.
Repressioni sistematiche e violente sono una caratteristica tipica di ogni dittatura, totalitarismo e regimi affini.
In questi regimi, gli atti di repressione spesso sono condotti da organi di polizia segreti, gruppi paramilitari o simili.

REFERENDUM

In virtù di esso si può richiedere ad un corpo elettorale il consenso o dissenso rispetto a una decisione riguardante singole questioni; si tratta dunque di uno strumento di democrazia diretta, che consente agli elettori di pronunciarsi senza intermediario alcuno su un tema specifico oggetto di discussione.
I requisiti, la disciplina e le caratteristiche sono variamente disciplinati nei vari ordinamenti giuridici.

Il tranello italiano del referendum.
Il referendum per l’indipedenza è una menzogna perché per fare un referendum bisgona dichiarararsi italiani e noi VENETI non siamo MAI diventati italiani.
Dire ai Veneti di fare un referendum per ottenere ciò che è gia previsto per legge (autodeterminazione) è un controsenso non solo giuridico ma un tradimento nei confronti della Patria che, essendo occupata dallo stato straniero italiano, viene vilipesa da questi sciacalli che pretendono che i Veneti si dichiarino italiani.
Ma se voi aveste uno straniero che con la violenza e abusivamente si è insediato in casa vostra, pretende che lo manteniate e vi impedisce di riconoscervi per quello che siete, vi depreda delle vostre risorse e fa di tutto per cancellare la vostra identità … cosa fate chiedete a questo delinquente se potete fare un referendum fra i vostri familiari per decidere se chiedergli di andarsene ??? …  o applicate la legge (autodeterminazione), denunciate il delinquente e chiedete aiuto ai vicini e agli amci per buttarlo fuori di casa ???
Un referendum per l’indipendenza è un tipo di referendum in cui i cittadini di un territorio, decidono se il territorio deve diventare uno Stato indipendente.
Il referendum sull’indipendenza è considerato positivo se i cittadini approvano l’indipendenza o esito negativo, se non lo fanno.
Il successo di un referendum per l’indipendenza può o non può comportare l’indipendenza, a seconda della decisione degli altri Stati sovrani.
Lo stato straniero occupante italiano non prevede questo tipo di “istituto” per cui anche fosse positivo l’esito di un referendum, non verrebe meno la dominazione italiana che non prevede neppure costituzionalmente una simile possibilità.
Ma c’è di più.
Il percorso referendario proposto da taluni partiti politici indipendentisti contrasta con la condizione giuridica attuale in cui versa la nostra Patria.
Come abbiamo già detto, il Popolo Veneto ha perso la propria sovranità a causa di una ripetuta occupazione straniera a seguito di un’invasione e quindi a causa di una forza maggiore.
Sul piano del diritto internazionale, l’avvenuta invasione e la conseguente dominazione di uno stato straniero non trova giustificazione alcuna per legittimare anche la presenza odierna dello stato occupante italiano.
E inoltre… in virtù di quale principio giurisprudenziale e del diritto il Popolo Veneto dovrebbe chiedere allo stato straniero italiano di concedergli una sovranità che è già sua?